Navi e jet. Ma anche ananas e cernie. Alle manovre militari sullo Stretto di Taiwan si aggiungono anche quelle commerciali. Prodromi di trade war, dichiarata implicitamente dalla Repubblica popolare proprio mentre il negoziatore commerciale di Taipei, John Deng, ha incontrato a Washington la vice rappresentante del Commercio statunitense, Sarah Bianchi. I due hanno parlato della cosiddetta «iniziativa sul commercio del XXI secolo».

ETICHETTA creata dall’amministrazione Biden dopo che la Casa bianca ha escluso Taiwan dalla sua Indo-Pacific Economic Framework e la cui agenda comprende agricoltura, climatico, sviluppo delle imprese statali.

La camera di commercio statunitense a Taiwan ha chiesto di procedere verso un accordo di libero scambio, ma l’attuale iniziativa sembra semmai (almeno per ora) un tentativo di rassicurazione del partner tenuto fuori dalla piattaforma regionale di più ampio respiro. Tanto basta a Pechino per opporsi a qualsiasi rapporto «ufficiale» tra Washington e Taipei.

Il governo cinese ha bloccato le importazioni di cernia, pesce di cui le acque taiwanesi sono particolarmente ricche. La motivazione ufficiale è la scoperta di sostanze chimiche vietate e di livelli eccessivi di ossitetraciclina. La presidente taiwanese Tsai Ing-wen sostiene che il divieto sia una mossa puramente politica per aumentare la pressione, stavolta economica, su Taipei.

Già lo scorso anno le autorità della Repubblica popolare avevano bloccato le importazioni di ananas e di altri tipi di frutta. In quell’occasione i taiwanesi si erano mobilitati per sostenere i coltivatori di ananas e alcuni paesi partner come il Giappone hanno incrementato le importazioni. Ma lo stop alla cernia potrebbe rappresentare un colpo serio all’industria di settore.

Nel 2021, Taiwan ha raccolto circa 17mila tonnellate di cernia e ne ha esportate 6.681 per un valore di 56,6 milioni di dollari. Ben il 91% delle esportazioni sono state dirette in Cina. Il pesce è considerato a Taiwan come un frutto di mare di fascia relativamente alta, tipicamente consumato in occasioni speciali, a differenza dell’ananas.

Dopo il divieto cinese, il prezzo della cernia è già sceso da 4 a 3,30 dollari al chilo. Inoltre, la maggior parte della cernia allevata a Taiwan è venduta viva nella Repubblica popolare, dove i clienti preferiscono mangiare pesce fresco, cucinato poco dopo essere stato ucciso. Difficile, se non impossibile, fare lo stesso altrove senza cambiare completamente il sistema logistico.

NONOSTANTE le tensioni politiche e militari, nel 2021 le esportazioni di Taipei verso Pechino sono cresciute del 24,8%, raggiungendo il loro massimo storico. Oltre il 42% delle merci esportate da Taiwan sono state dirette nella Repubblica popolare.

Ruolo fondamentale lo ricoprono i prodotti elettronici e i semiconduttori, una leva non solo commerciale ma anche diplomatica a disposizione di Taipei. E infatti, nonostante le pressioni Usa, il cordone tecnologico non è mai stato reciso. Se Xi Jinping decidesse di militarizzare i rapporti commerciali bilaterali, l’economia taiwanese subirebbe un duro contraccolpo.

Ieri è stata intanto registrata una nuova incursione di un velivolo antisommergibile dell’Esercito popolare di liberazione. Un drone da combattimento senza pilota di fabbricazione taiwanese ha invece completato una prova di volo di 10 ore intorno allo spazio di identificazione di difesa aerea. E nei prossimi giorni il cacciatorpediniere americano Uss Benford potrebbe transitare nello Stretto, giusto per ricordare che le tensioni sono anche sopra al livello del mare popolato dalle cernie taiwanesi.