Libera scelta in libera chiesa. Il Papa ridefinisce il fine vita
Vaticano/Italia Sì alla sospensione dei trattamenti, autodeterminazione e ultima parola al malato. Bergoglio cambia la «prospettiva» sul biotestamento. I pro-life vanno in tilt ma la legge ancora attende.
Vaticano/Italia Sì alla sospensione dei trattamenti, autodeterminazione e ultima parola al malato. Bergoglio cambia la «prospettiva» sul biotestamento. I pro-life vanno in tilt ma la legge ancora attende.
No all’eutanasia e no all’accanimento terapeutico. Non dice nulla di rivoluzionario, Papa Francesco: concetti già espressi almeno dal suo predecessore Benedetto XVI. Nulla di nuovo, se non fosse che il diavolo si nasconde nei dettagli. Con grande tempismo e senso politico, Bergoglio, nella lettera inviata alla Pontificia Accademia per la Vita e al Meeting europeo della World medical association, usa infatti parole risolutive su due o tre punti sostanziali sui quali invece il Parlamento – non certo la società italiana e neppure la chiesa dei credenti – è impantanato almeno dai tempi di Eluana Englaro.
Sì alla sospensione dei trattamenti; tutti, anche di nutrizione e idratazione artificiale («interventi sul corpo umano che possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti o addirittura sostituirle»); accento sull’autodeterminazione del paziente, che ha l’ultima parola rispetto al medico (ed è questa una sostanziale differenza con l’approccio di Ratzinger); differenza tra caso e caso («dimensione personale e relazionale della vita»), come dire: ciascuno ha il proprio concetto di dignità.
PAPA FRANCESCO CITA la «Dichiarazione sull’eutanasia» dell’ex Sant’Uffizio del 1980 ma anche Pio XII che nel 1957 considerò «lecito astenersi in casi ben determinati» dalle cure «potenzialmente disponibili». Il Pontefice chiede «un supplemento di saggezza», perché «gli interventi sul corpo umano diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute». È «dunque moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà definito proporzionalità delle cure».
È una «differenza di prospettiva», quella che propone Bergoglio, che «assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo più contrastare». «Vediamo bene, infatti – spiega – che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso, equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita».
MA A CHI SPETTA L’ULTIMA decisione? Qui le parole del Papa sudamericano segnano la discontinuità con il suo predecessore tedesco. Per Ratzinger infatti «è innegabile che si debba rispettare l’autodeterminazione del paziente» ma la «specifica competenza» del medico «lo mette in grado di valutare la situazione meglio del paziente stesso» (discorso alla Società italiana di chirurgia, ottobre 2008). In ogni caso, Benedetto XVI, un mese dopo, nella Pastorale ai bambini malati, spiegava che va sempre raggiunto «un giusto equilibrio tra insistenza e desistenza terapeutica».
Secondo Bergoglio invece «le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità». È «anzitutto lui che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta». Per stabilire «se un intervento medico clinicamente appropriato sia effettivamente proporzionato non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale. Occorre un attento discernimento che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. La dimensione personale e relazionale della vita – e del morire stesso, che è pur sempre un momento estremo del vivere – deve avere, nella cura e nell’accompagnamento del malato, uno spazio adeguato alla dignità dell’essere umano».
CONCETTI CHE HANNO SCATENATO la reazione scomposta («no alla strumentalizzazione», da un lato, e «la legge va contro le parole del Papa», dall’altro) di destre, ultra cattolici e “pro-life”, impegnati a bloccare in Senato il blando testo di legge sul fine vita licenziato nell’aprile scorso dalla Camera, con centinaia di emendamenti ostruzionistici che hanno costretto la relatrice in commissione Emilia Di Biasi (Pd) a dimettersi nel tentativo di portare il testo direttamente il Aula per approvarlo entro la fine della legislatura.
Ma la calendarizzazione è nelle mani della Conferenza dei capigruppo, e in attesa che il partito di Renzi concluda sul biotestamento, come sullo ius soli, la propria trattativa.
Il ministro Martina, vicesegretario del Pd, coglie l’occasione per invitare (non è chiaro chi) ad affrettare l’iter legislativo. Mentre a Firenze nasce il comitato #fatepresto che ha lanciato un appello al presidente del Senato e ai capigruppo sottoscritto, tra le oltre cento personalità, da Bersani, Bindi, Saviano, Civati, Farina Coscioni, Fratoianni, Speranza e molti altri.
Ma in Parlamento giace da 4 anni anche una legge sottoscritta da 68 mila cittadini. È dei Radicali italiani e dell’Associazione Coscioni, e legalizza l’eutanasia.
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