Liana Borghi, forme e saperi di una esplorazione femminista
SCAFFALE «Fare mondo. Pratiche affettive e letture r/esistenti», edito da Ets. Il volume è a cura di Clotilde Barbarulli, Federica Frabetti e Marco Pustianaz
SCAFFALE «Fare mondo. Pratiche affettive e letture r/esistenti», edito da Ets. Il volume è a cura di Clotilde Barbarulli, Federica Frabetti e Marco Pustianaz
A due anni da Vivere una vita femminista di Sarah Ahmed, ultima co-curatela a cui Liana Borghi ha partecipato per la collana «àltera» da lei creata presso Ets, esce ora nella stessa collocazione un volume di suoi scritti dal titolo Fare mondo. Pratiche affettive e letture r/esistenti, a cura di Clotilde Barbarulli, Federica Frabetti e Marco Pustianaz (pp. 258, euro 19, che oggi alle 14 verrà presentato per la prima volta a Firenze, al Giardino dei Ciliegi (via dell’Agnolo 5).
NELLA SENTITA INTRODUZIONE a sei mani, Liana Borghi viene descritta come una «tramante» (o «tr/amante») vale a dire una figura «che trama connessioni laddove prima non sembravano esserci». E in effetti non si può parlare dell’operato culturale di questa infaticabile docente, studiosa, traduttrice dall’inglese, organizzatrice di luminose occasioni di studio e pensiero collettivo senza chiamare in causa tutta quella rete di espressioni metaforiche che tra tessiture, trame, intrecci dicono di un metodo di agire improntato alla polifonia e alla pluralità di strumenti e prospettive per osservare il testo letterario e il mondo come testo: dal queer allo xenofemminismo, dal neomaterialismo femminista alla critica quantistica della comunicazione.
I saggi raccolti in Fare mondo rendono conto della lettura come atto esplorativo appassionato di luoghi, concetti e figure di s/confine. La scintilla scocca per Borghi laddove si contaminano forme e saperi per una fusione desiderante e cosmogonica: il neomaterialismo di Elizabeth Grosz, l’ecofemminismo cyborg di Donna Haraway, la fantascienza di Joanna Russ e Ursula LeGuin, le vampire di Jewelle Gomez passando attraverso quel particolare accostarsi al mormorio del mondo che è la poesia di Adrienne Rich o la scrittura multiforme di Audre Lorde. Se la teoria, dal greco theoré ossia vedere, è questione di sguardo, il queer lesbico di Borghi è uno sguardo trasformativo che opera attraverso la capacità delle parole di dire e attuare un rapporto altro con il desiderio nello spaziotempo.
LIANA BORGHI è stata una ri/creatrice di parole nel senso che le creava e ricreava a partire da elaborazioni altrui, le faceva giocare. Uno dei modi per leggere questa raccolta di saggi potrebbe essere quindi quello di seguire le tracce dei tanti neologismi di senso e di forma che punteggiano la scrittura. Il procedere decostruttivo dell’autrice si serve per esempio di barre come espressione della complessità in senso dialettico ed espansivo: r/esistere, dis/identificazione, dis/continuità, im/possibilità, im/passibilità, dis/assoggettamento, in/fedele, ri/scrivere, auto/biografia, di/vagare, dis/volgere, altri/menti, pro/positivo. Spesso si tratta di riprendere e far risuonare quasi psicoanaliticamente gli echi nascosti dei lemmi così come accade per il concetto di «figur/azione» ripreso da Haraway e da Braidotti per indicare quelle «immagini performative» del mondo che evocano i cambiamenti e le trasformazioni in atto nelle società avanzate rispondendo a domande quali: come si fa a inventare nuove strutture di pensiero e nuove strutture di desiderio? Come si arriva al cambiamento concettuale? A quali condizioni?
TRA I NEOLOGISMI più curiosi c’è, per esempio, il sincratico «liminalieni» che indica «posizioni liminali del soggetto, figure instabili che possiamo ritrovare in qualsiasi testo. I liminalieni possono certo essere gli ‘alieni’ della fantascienza vera e propria, ma più che altro sono alieni come lo è ognuno di noi quando cerchiamo di restare in bilico sul bordo olografico dell’identità». In alcuni casi si tratta di far viaggiare le parole non solo tra diversi spazi linguistico-culturali e orizzonti teorici ma soprattutto tra ambiti disciplinari.
Ed ecco allora che, mediante Karen Barad e Donna Haraway, termini come diffrazione, frattale, simultaneità, passano dalla fisica all’epistemologia letteraria in una contaminazione produttiva tra saperi solidali che Borghi chiamava «intercultura di genere». Oltre ad aver tradotto e insegnato autrici e artiste che difficilmente avremmo frequentato con tanta intensità e che ritroviamo tra le pagine di questa antologia (Katja Petrowskaja, Monique Truong, Dionne Brand, Billie Holiday), Borghi ci ha lasciato in eredità la responsabilità di praticare il divenire-altro come «forza vitale che inaugura tecnologie alternative di appartenenza» non solo al di là dei limiti nazionali ma anche oltre i limiti dell’individualità. In una costante permeabilità del soggetto in cui perfino vita e morte trovano modi imprevisti di sconfinare.
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