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«L’evoluzione di Hamas: da movimento a regime»

«L’evoluzione di Hamas: da movimento a regime»Sostenitori di Hamas a Gaza nel dicembre 2022 – Ap/Hatem Moussa

Nel buio Intervista a Paola Caridi: «Il fallimento dell’intelligence ha sorpreso gli stessi miliziani: immaginavano di trovare soldati»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 12 ottobre 2023

Al movimento islamico Hamas Paola Caridi ha dedicato tanti degli anni trascorsi a Gerusalemme. Giornalista, co-fondatrice di Lettera 22, è autrice del libro Hamas, che a novembre uscirà aggiornato per Seven Stories.

Partiamo dall’inizio. In quale contesto nasce Hamas e con quali obiettivi?

Hamas nasce dai Fratelli Musulmani, qualche anno prima della fondazione ufficiale del 1987, dalla débacle del movimento palestinese che fu la guerra civile in Libano. In quel momento, dentro quello che sarà Hamas, matura una riflessione: non dobbiamo infilarci nelle questioni interne degli altri Paesi. I primi anni non solo solo di consolidamento ma anche di presa di posizione rispetto al processo di Oslo che Hamas rifiuta. Ancora oggi non fa parte dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina: si pone fin da subito come alternativa sia di Fatah sia dell’Autorità nazionale palestinese. La prima svolta si ha a partire dal 1994 quando inizia a usare lo strumento terroristico. Durante la seconda Intifada Hamas è responsabile degli attentati più sanguinosi. La seconda svolta si verifica nel 2005 quando l’intera Fratellanza musulmana nella regione prova a entrare nel gioco politico, nella democrazia rappresentativa.

Un cambio di paradigma negli strumenti politici e militari che dettano il destino di Gaza.

L’esempio sono i Fratelli musulmani in Egitto che nel 2005 partecipano alle elezioni politiche. Questo spinge Hamas a ragionare sull’idea di partecipare alle elezioni politiche, pur non riconoscendo il processo di Oslo. La decisione matura in un periodo particolare: viene ucciso il leader del movimento Shaikh Yassin, muore Arafat, cambia il quadro della leadership palestinese e Hamas decide di sospendere gli attentati suicidi. Nel 2006, con sua stessa sorpresa, il movimento vince le elezioni. Una vittoria che si traduce nel boicottaggio del nuovo governo palestinese da parte di Israele, Europa e Usa. La successiva frattura e lo scontro tra Hamas e Fatah lo porta nel 2007 ad assumere il controllo di Gaza. Il movimento si trasforma: per la prima volta controlla un pezzo di territorio. Evolve e da movimento diventa regime con la conseguente militarizzazione delle brigate al Qassam che il 7 ottobre 2023 dimostrano il livello di preparazione militare raggiunto entrando in Israele e commettendo crimini di guerra.

Hamas ha certamente messo in conto la reazione israeliana. Come si è preparata?

Sicuramente l’operazione è stata preparata per mesi. Ma va aggiunto un elemento: il fallimento dell’intelligence israeliana non ha sorpreso solo Israele e il mondo, ha sorpreso anche Hamas: probabilmente non aveva immaginato di non trovare ostacoli, soldati contro cui combattere. La favola della sicurezza la guardiamo sempre dalla parte israeliana, ma non la guardiamo dalla parte palestinese. Hamas immaginava che ci sarebbe stato uno scontro fisico con l’esercito che non c’è stato.

Con quali obiettivi è nato l’attacco?

Dalla questione politica del posizionamento del mondo arabo, in particolare dopo l’ipotesi di una normalizzazione tra Arabia saudita e Israele. È probabile che Hamas si sia posto la questione dell’ulteriore marginalizzazione che ne sarebbe seguita, anche alla luce del recente disgelo di Riyadh con l’Iran e dunque della paura di un possibile indebolimento dell’alleanza tra Hamas e Teheran.

Esistono spaccature dentro Hamas?

Lo scorso anno nella leadership si è verificato una sorta di rimpasto: alle elezioni interne ha vinto l’ala più dura, rappresentata da Yahya Sinwar, liberato da Netanyahu nell’ambito del negoziato per il rilascio del soldato Gilad Shalit. Da allora Sinwar ha avuto un’ascesa molto rapida. E visto che Gaza è l’unico spazio politico e geografico dove Hamas esercita un potere e dove possiede una forza militare, la leadership di Gaza è cresciuta, da un livello locale a regionale, ponendosi allo stesso livello della leadership all’estero. Ricordiamoci che parliamo di un movimento oscuro e clandestino di cui sappiamo molto poco. Soprattutto della sua ala militare.

Veniamo al consenso, al radicamento nella società palestinese. Quanto è ampio? Ed esistono differenze tra Gaza e Cisgiordania?

Esiste una differenza perché Gaza è l’unico spazio geografico e politico in cui Hamas ha potere e dove negli anni si è tramutato in regime, anche nel senso burocratico del termine. Negli ultimi anni la popolazione di Gaza ha manifestato in modo sempre più evidente il suo dissenso, non con movimenti consolidati ma per lo più nel mondo virtuale e nell’azione dei giovani, manifestazioni che Hamas ha represso. Non si può né dire che l’intera popolazione di Gaza sia composta di scudi umani né che stia tutta con Hamas: c’è una dimensione molto più variegata rispetto all’adesione di due milioni di persone ad Hamas. La stessa situazione opaca la registriamo in Cisgiordania dove Fatah reprime i militanti di Hamas che sono rientrati in clandestinità. Non esistono sondaggi che ci possano dare indicazioni sulle preferenze politiche palestinesi. Ma abbiamo un elemento visibile: dal 2021, una parte sempre più consistente della popolazione palestinese in Cisgiordania, a Gaza, a Gerusalemme e nelle città israeliane non si riconosce più in un partito, in un movimento strutturato, ma declina sempre di più il proprio impegno politico in altro modo. Accade soprattutto tra le generazioni giovani.

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