Se venti giorni fa avessero detto a Enrico Letta che avrebbe vinto 10 capoluoghi, nonostante una sanguinosa scissione del principale alleato tra il primo e il secondo turno, non ci avrebbe creduto: così si spiegano le fanfare che già dalla notte di domenica accompagnano il risultato dei ballottaggi.

Nel 2017, nella fase terminale del renzismo, era andata così male che qualunque risultato di queste amministrative non avrebbe comunque scalfito la leadership di Letta. Ma avrebbe potuto condizionare la sua strategia del “campo largo”, e cioè la volontà di mettere insieme una coalizione con il M5S, vari pezzi di sinistra e i moderati per affrontare le politiche del 2023.

Di qui la forza con cui Letta ha affrontato «le ironie sul campo largo che si sono rovesciate contro chi le faceva, perché si è visto che la strategia paga e vinciamo in modo convincente».

Verona, Lodi, Monza, Catanzaro. Campagne elettorali che il leader Pd ha preparato e seguito con cura maniacale, con il decisivo supporto di Francesco Boccia, per dimostrare che «Salvini e Meloni si possono battere», nella Lombardia profonda di Monza, nel Veneto di Zaia e anche nella difficile Calabria.

Letta attribuisce le vittorie alla «serietà» e alla «responsabilità» di queste settimane. In realtà le analisi dicono che ha vinto perchè ha scelto i candidati giusti (in primis Damiano Tommasi), ma anche perché il centrosinistra è riuscito a portare alle urne un numero di elettori più alto del centrodestra. E questo si deve al fatto che il partito non è parso più respingente come all’epoca di Renzi. Ha cambiato pelle e appeal.

«Abbiamo imparato che non dobbiamo litigare, che dobbiamo scegliere candidati che piacciono ai cittadini. Che l’unità è fondamentale. Sono lezioni importanti in vista delle politiche», ha detto ieri sera al Tg3, visibilmente soddisfatto. E Verona è una prova, molto sui generis, di efficacia del suo schema: «Tommasi è stato appoggiato da tutti coloro che potrebbero far parte di un coalizione larga. È la dimostrazione che insieme si può essere convincenti».

In realtà nella città dell’arena la lista di Calenda ha preso circa l’1%, e i grillini mascherati dentro una civica (per il veto dello stesso Calenda) non hanno dato significativi contributi. E a Lucca, dove il leader di Azione era asceso in campo personalmente per sconfessare il suo candidato Veronesi che si era alleato con le destre al ballottaggio, c’è stata la più dura sconfitta del centrosinistra di questa tornata elettorale (anche nel Lazio di Zingaretti si sono persi tutti i capoluoghi al voto).

E tuttavia Letta non demorde: «Ora la nostra responsabilità è usare al meglio questa vittoria». Anche se Conte e quello che resta del M5S in queste ore sono in tutt’altre faccende impelagati, preoccupati di sopravvivere allo scisma di Di Maio. E assai poco interessati a parlare di alleanze.

E Calenda continua a dire che nel 2023 correrà da solo, «contro destra e sinistra», con l’obiettivo di un nuovo governo di larghe intese presieduto da Draghi dopo le prossime elezioni. «Letta il “campo largo” lo deve fare con i 5 Stelle: è il suo progetto e va benissimo così, noi facciamo un’altra strada cercando di recuperare non solo il voto di sinistra ma anche di centrodestra», ha ribadito ieri.

«L’unità del centrosinistra che unisce progressisti e riformisti, è sempre stato l’obiettivo del Pd», replica Boccia. «Non ci saranno mai più larghe intese. Con Salvini siamo radicalmente alternativi». Il governatore emiliano Bonaccini, forte delle vittorie Parma e Piacenza cui si è molto dedicato, rilancia invece il ruolo dei dem: «Se tu hai una proposta forte, i cittadini in pochi mesi possono spostare una quantità di voti che noi non immaginiamo. È la novità di questi 4-5 anni. Quindi alleanze sì, ci mancherebbe, ma se hai proposta forte puoi prendere voti dove non li hai mai presi. Letta nei prossimi tre mesi deve avanzare una proposta al paese». E se Calenda non ci sta? «Manca ancora un anno al voto…», sorride Bonaccini.

Il leader Pd intanto rilancia le battaglie che intende combattere prima delle elezioni: «Penso che questo voto aiuti a rendere più forte l’agenda sociale del governo: c’è bisogno di abbassare le tasse sul lavoro, di intervenire sul lavoro povero, di battere la precarietà». (and.car.)