Politica

Letta: «M5S resta il partito di Grillo. Non sono progressisti»

Enrico Letta foto LaPresseEnrico Letta – LaPresse

Intervista Il leader Pd: «Abbiamo sottovalutato la rabbia sociale, ora non più. Il Jobs Act è superato, solo Renzi e Calenda ancora pensano a Blair. Parlo troppo di Putin e Orban? Sono il modello di dove ci porterebbe la destra. Se vincono c’è il concreto rischio che aboliscano il diritto all’aborto come negli Usa»

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 4 settembre 2022

Enrico Letta. Dopo il successo alle comunali di giugno molti elettori di sinistra hanno fatto fatica a seguirla. Soprattutto in occasione della crisi di governo e della costruzione delle alleanze. Davvero pensa che togliere la fiducia a Draghi, a pochi mesi dalla scadenza naturale della legislatura, fosse un gesto così grave da rendere impossibile l’alleanza con M5S?

Riavvolgiamo il filo: a giugno abbiamo vinto una tornata amministrativa difficile, bissando il successo del 5 a 0 dello scorso anno. Abbiamo conquistato roccaforti inespugnabili. Abbiamo ridimensionato Salvini che appena tre anni fa veleggiava tra il 30 e il 40%. La prova che la destra è battibile.

Il centrosinistra aveva il vento in poppa. Poi tutto è crollato. Perché? Con Bonelli e Fratoianni, sempre all’opposizione di Draghi, l’intesa l’avete trovata.

È successo che, meno di un mese dopo, il M5S – lo stesso con cui avevamo ben gestito la pandemia e la partita europea per il post Covid – ha rotto il patto per ricercare una improbabile purezza solitaria delle origini, facendo cadere il governo che aveva sostenuto con lealtà al fianco del Pd. E ciò mentre Draghi, anche grazie alla nostra pressione congiunta, stava per varare una radicale agenda sociale. Con il salario minimo, la mensilità in più a fine anno, la redistribuzione fatta tassando i maxi profitti delle grandi aziende dell’energia. Una occasione storica dissipata per calcoli di nicchia. L’interesse della nazione, degli ultimi, di chi non ce la fa più, offeso in nome di quello di parte e personale. Con che argomenti e linearità io stesso, con il Pd al mio fianco, potevo presentarmi al Paese e dire: fidatevi di noi e dei nostri alleati?

Insisto. I programmi di Pd, M5S e rossoverdi sono molto vicini su lavoro, diritti, ambiente. Gli elettori non capiscono le ragioni della separazione.

Su alcune politiche la matrice è simile. Con la differenza che loro si sono autoesclusi dalla possibilità di realizzarlo insieme. Non potranno mai vincere e attuarlo, quel programma. Noi sì, noi possiamo contendere la vittoria alla destra. Il nostro programma è fortemente progressista su ambiente, lavoro, diritti e anche su scuola e cultura. Come lo è la piattaforma della mia segreteria. E questo non perché io a Parigi sia stato contagiato da un qualche virus esotico, ma perché l’Europa, il mondo, l’Occidente vanno in quella direzione. Le crisi drammatiche dell’ultimo decennio portano a sinistra, portano alla sostenibilità sociale e ambientale. Se non si fa così, non regge l’intelaiatura, sempre più fragile, delle democrazie occidentali. E il 5stelle resta su questo il partito di Grillo. Di chi ha sempre detto che destra e sinistra sono uguali. Non lo sono e non lo saranno mai. Non esiste la sinistra a targhe alterne. E non si può fare i progressisti della domenica.

Vi ha diviso dal M5S anche la posizione sulla guerra. A destra se infischiamo delle loro differenze.

A destra convivono posizioni diverse in molti ambiti. Tre modelli differenti di flat tax. Soluzioni agli antipodi su immigrazione, giustizia, scostamento di bilancio. Li accomuna la smania per il potere e l’arrogante pretesa di limitare le libertà individuali. Di imporci chi amare, in cosa credere, chi essere. Su questo sono granitici. L’applauso sguaiato per l’affossamento parlamentare del ddl Zan è il loro spot sui diritti. Racconta bene chi sono.

La guerra è la causa principale della drammatica situazione energetica ed economica che stiamo vivendo. Pensa che questa situazione potrà continuare all’infinito se l’Ucraina diventasse un nuovo Afghanistan? La parola trattativa è sparita dai radar, così come pace.

No, la causa non è la guerra in astratto. La causa ha un nome e un cognome: Vladimir Putin. Che non è un vecchio compagno alla testa di un Paese umiliato. È un dittatore tra i più feroci al mondo, alla guida di un regime che ha invaso uno stato sovrano creando decine di migliaia di morti, donne stuprate, bambini deportati. Questa è la causa. E solo una fortissima reazione dell’Europa può opporsi alla bandiera nera che sventola sul Cremlino. La pace è l’afflato, l’obiettivo di tutte le donne e gli uomini liberi. E dobbiamo ricercarla ogni giorno, lavorando con la diplomazia europea e negli organismi multilaterali. Ma la resa incondizionata dell’Ucraina non è pace, è cedimento a un ricatto, alla barbarie.
Davvero crede che l’opinione pubblica italiana possa sopportare questa sofferenza per un dovere di fedeltà alla Nato?
Per un dovere di fedeltà verso se stessa e verso la Repubblica democratica nata dalla guerra al nazifascismo. Ripeto: non è la reazione dell’Italia e dell’Europa che ha creato questa sofferenza. E comunque alla sofferenza, al dramma del caro vita, siamo stati i primi a opporre un piano serio.

Ritiene che il tetto europeo al prezzo del gas arriverà in tempo o sarà necessario un tetto nazionale per evitare un massacro sociale?

Tra le due strade – tetto nazionale ed europeo – non c’è contraddizione, anzi. Noi abbiamo un piano chiarissimo. Primo, appunto, il tetto europeo. Il prossimo Consiglio Ue sarà dirimente. Noi diciamo: facciamo presto. Secondo, un tetto nazionale alle bollette applicando un regime di prezzi amministrati dallo Stato per l’energia elettrica per un anno; terzo, il credito d’imposta per gli extra-costi energetici; quarto, il nuovo contratto “bolletta luce sociale” per microimprese e famiglie con redditi medi e bassi. Quinto, un piano nazionale per il risparmio energetico e le rinnovabili. Infine, una moratoria per le aziende sulle bollette e la rateizzazione degli impegni non sostenibili.

Voi vi contendete con Renzi e Calenda l’eredità di Draghi. Ma è sicuro che quel governo fosse così popolare tra gli italiani, soprattutto quelli più deboli?

Draghi ha governato bene ed è un patrimonio della Repubblica. Trovo volgare la corsa a usarne il nome in contumacia. Citando Zingaretti, chi si presta a questo gioco fa come quelli che vendono Rolex alle bancarelle. Non ci vuole un occhio raffinato per vedere che sono falsi. Io ricordo solo che IV non ha votato la riforma Cartabia sulla giustizia. E che Azione era ondivaga sulla strategia europea di Draghi sul gas e contro l’ingresso dell’Ucraina in Ue, un cardine della sua politica estera.

Avevate detto di non volere essere più il partito dell’establishment e delle ztl, e invece questa campagna sembra parlare solo agli inclusi, a chi vota su temi come l’autorevolezza internazionale, non a chi fatica ad arrivare a fine mese.

L’Italia è ricoperta da manifesti con queste proposte, il cuore del nostro programma. Lo stipendio in più a fine anno. Il supporto agli affitti. Un grande piano di edilizia popolare da 500.000 alloggi, finalmente legata alla rigenerazione urbana e alla manutenzione del patrimonio esistente. Per anni e anni la sinistra ha avuto persino paura di dire “case popolari”.

Nel vostro programma ci sono cose di sinistra come le norme antiprecariato, ma lei le cita pochissimo. Parla molto di più di Orban e di Putin, dei disastri che farebbero le destre.

Orban e Putin sono i portabandiera di quei disastri. Chi sceglie la destra sceglie esattamente quel modello. Un modello nel quale si violano i diritti civili, si comprimono quelli sociali, si negano il cambiamento climatico e il primato della scienza,. Non è una discussione sterile tra circoli diplomatici.

Insisto. Il Pd ha fatto il Jobs Act e ora, anche se nel programma ci sono proposte più avanzate, sembra timido nel rinnegarlo.

Il nostro programma supera il Jobs Act sul modello di quanto fatto in Spagna contro il precariato. La stagione del blairismo è consegnata alla storia. In tutta Europa credo che siano rimasti solo Renzi e Calenda ad agitarlo come un feticcio ideologico.

Lei ha detto di puntare al voto degli under 35. Perché un giovane precario e sottopagato, tentato dalla fuga all’estero, dovrebbe avere fiducia in voi?

Perché con le nostre misure per un lavoro stabile, la possibilità di uscire prima di casa, di essere indipendenti, vogliamo dir loro ‘questo paese punta su di voi’. Iniziamo a vedere i risultati: il Pd dopo anni è tornato il primo partito tra i giovani. A dimostrazione che questa generazione capisce benissimo chi è dalla parte delle battaglie che le stanno più a cuore. Dobbiamo insistere di più, per chiamare al voto i coetanei di chi è già con noi.

Il professor De Masi ha stimato che con Meloni premier circa 1,5 milioni di italiani perderebbe il reddito di cittadinanza. Non le pare un argomento più forte del riferimento all’Ungheria?

Sono questioni non sovrapponibili. Sul reddito di cittadinanza la mia posizione è lineare. Sono stato tra i pochi a sostenerlo nel centrosinistra quando non ricoprivo incarichi politici. E oggi con molta convinzione dico che bisogna mantenerlo rafforzandolo e correggendolo. La via è quella suggerita da Chiara Saraceno e indicata dal ministro Orlando. Di certo, niente di più lontano da noi della ‘caccia al povero’ che fa la destra, con la volenterosa complicità di Renzi.

Così anche l’aborto. C’è il rischio reale che Meloni e soci facciano passare leggi liberticide come negli Usa?

Sì, c’è questo pericolo. E non lo nascondono. Quantomeno gli italiani sanno cosa rischiano. Basta vedere le Marche: un regresso di decenni e un affronto gravissimo alla libertà di scelta della donna.

Il professor Carlo Galli sostiene che avete sottovalutato la rabbia sociale, che l’avete capita in ritardo e che in ogni caso non avete ancora dimostrato di poter essere credibili rispetto alla domanda di protezione sociale. Come risponde?

Che l’abbiamo sottovalutata. Ma che non succede da tempo. Il voto dell’hinterland delle grandi aree urbane alle ultime comunali è una piccola conferma. Abbiamo imparato la lezione.

Cosa succederà al Pd dopo il 25 settembre?

Che l’ltalia democratica e progressista, e la lista plurale che la rappresenta, darà una bella prova di sé. Una cosa è certa: il Pd c’è e ci sarà sempre. E questo a dispetto dei tanti che volevano e vogliono distruggerlo, come è accaduto ai socialisti francesi. Lo ha ricordato ieri Romano Prodi: sono surreali questi attacchi al Pd da parte di M5S e Calenda. Ma forse sono anche l’ammissione di una debolezza, la prova del fatto che sanno di aver già perso e vogliono far perdere anche il Pd.

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