L’estradizione si allontana, ma Yaeesh resta in carcere
Italia/Palestina Il caso del 37enne palestinese. Respinto il parere del procuratore generale, la corte de L’Aquila si riserva di decidere. L’inchiesta per terrorismo potrebbe fornire una scappatoia
Italia/Palestina Il caso del 37enne palestinese. Respinto il parere del procuratore generale, la corte de L’Aquila si riserva di decidere. L’inchiesta per terrorismo potrebbe fornire una scappatoia
Sulle cancellate del Palazzo di Giustizia de L’Aquila hanno appeso uno striscione: «La resistenza non è un crimine, il genocidio sì. Anan Yaeesh libero, Palestina libera». Ce lo hanno messo ieri le decine di persone che, da fuori, hanno accompagnato la camera di consiglio della Corte d’Appello, riunita per ascoltare difesa e procuratore generale sulla richiesta di estradizione mossa da Israele per il cittadino palestinese Anan Yaeesh, 37 anni di Tulkarem, in Europa dal 2013.
YAEESH non era presente, era collegato in videoconferenza dal carcere di Terni, dove nei giorni scorsi si sono tenuti presidi in suo sostegno: lo prevede l’articolo 146 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, per reati di terrorismo.
La ragione: alla vigilia, l’11 marzo, il gip distrettuale de L’Aquila ha emesso ordine di custodia cautelare per lui e altri due palestinesi, Ali Saji Rabhi Irar e Mansour Doghmosh, con l’accusa di collaborazione con le Brigate Tulkarem con «finalità terroristiche tese a organizzare attentati suicidari in territorio israelo-palestinese, in particolare in Cisgiordania».
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Yaeesh indagato all’Aquila: «Pianificava attentati suicidi»L’indagine della Dda ha dato una svolta al caso del 37enne palestinese. Per chi ha chiesto in queste settimane il rigetto della richiesta di estradizione, quell’inchiesta è un modo per aggirare una richiesta scomoda: «È il modo di uscirne con la faccia pulita – dicono i manifestanti citando l’articolo 8 della Convenzione europea sull’estradizione – Permetterebbe di rifiutare l’estradizione non con una denuncia esplicita dei crimini israeliani ma aprendo un’indagine a parte».
Dentro il Palazzo di Giustizia, ieri, la corte ha accolto la lunga e dettagliata memoria presentata dalla difesa di Yaeesh, respingendo invece il parere del procuratore generale, «ovvero di soppesare la pericolosità di Anan – spiega l’avvocato Flavio Rossi Albertini – perché sarebbe una circostanza inconferente, non pertinente». Alla base sta l’articolo 3 della Cedu che riconosce come principio inderogabile il divieto di consegnare una persona a un paese in cui rischia tortura e trattamenti disumani.
È SU QUESTO che si fonda la difesa di Yaeesh, elementi che la corte non può rigettare: gli argomenti portati dalla difesa per dichiarare Anan non estradabile in Israele (rischio di tortura e trattamenti disumani e degradanti ed esistenza di un regime di apartheid giuridico) sono sufficienti e ampiamente sostenuti da rapporti dell’Onu e di ong internazionalmente riconosciute come Human Rights Watch e Amnesty.
«La corte ha accolto la documentazione al fine di valutare gli argomenti ma non ha ancora deciso – continua il legale – Si riserva di decidere, non c’è un termine stabilito a pena di decadenza». Probabile però che la decisione si palesi prima del 20 marzo prossimo, quando sarà la Cassazione a esprimersi sull’ordinanza di custodia cautelare che dal 27 gennaio permette la detenzione di Yaeesh, a seguito dell’accoglimento da parte del ministro della giustizia Nordio della richiesta israeliana di estradizione.
L’INDAGINE della Dda potrebbe ovviare al dilemma: la corte potrebbe aggirare l’istanza di scarcerazione presentata dai legali di Yaeesh. La richiesta di estrazione, infatti, decade non solo sulla base dell’articolo 8 della Convenzione europea sull’estradizione, ma anche sulla base dell’articolo 705 del codice di procedura penale italiano che permette ai giudici di negare la consegna a uno stato straniero se le autorità italiane hanno avviato un procedimento sugli stessi fatti.
Un’indagine per terrorismo in Italia, dunque, seppur in questo caso riferita a presunti piani nella Cisgiordania occupata e seppur fondata, per lo più, su presunte prove fornite dalle autorità israeliane, è una motivazione valida per negare l’estradizione. Senza doversi esprimere su quanto portato in aula dalla difesa – le torture e i trattamenti inumani e degradanti a cui sono sottoposti i prigionieri politici palestinesi nelle celle israeliane – e senza dover riconoscere o meno l’esistenza di un regime di apartheid giuridico per i palestinesi residenti nei Territori occupati.
Si apre così un nuovo capitolo. Oggi sono programmati gli interrogatori di Irar e Doghmosh, domani quello di Yaeesh. Che resta in carcere.
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