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L’esordio romanzesco di Andre Dubus a bordo di una portaerei negli anni ’50

L’esordio romanzesco di Andre Dubus a bordo di una portaerei negli anni ’50Rosalyn Drexler, «Men and Machines I», 1965

Scrittori statunitensi «Il tenente», da Mattioli 1885

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 10 luglio 2022

La bandiera a stelle e strisce. L’aquila dalla testa bianca. La statua della libertà. Lo zio Sam. Nel bene e nel male questi sono i simboli degli Stati Uniti, materializzazioni di una politica di egemonia culturale che – accettata o rifiutata – ha comunque diffuso queste icone della nazione. Sono emblemi ai quali si dovrebbe aggiungerne un altro, più brutale ed esplicito, la portaerei: queste città galleggianti sono state protagoniste della vittoria sul Giappone, e poi hanno proiettato la potenza militare americana a livello planetario nel corso della guerra fredda e dopo.

Come insegna Melville col suo Pequod, una nave è un microcosmo, e le enormi portaerei dell’US Navy si prestano bene a rappresentare per sineddoche l’intera nazione, come già la celebre nave baleniera fin dal 1851. Proprio un microcosmo è quello dell’immaginaria portaerei Vanguard, dove si svolge il romanzo d’esordio di Andre Dubus, Il tenente (traduzione di Nicola Manuppelli, Mattioli 1885, pp. 243, e 16,00), che in piena guerra fredda è impegnata in manovre al largo del Giappone. Un mondo chiuso, all’epoca (metà degli anni Cinquanta) rigorosamente maschile, impegnato in una ferrea routine, una sorta di liturgia militare della quale l’autore, ex-capitano dei Marines, dipinge accuratamente i minuti dettagli, facendoci entrare in un mondo pressoché alieno.

Il tenente, Dan Tierney, crede senza esitazioni ai valori e alle tradizioni del corpo dei Marines, fondate su coraggio, onore, dedizione e soprattutto virilità. L’altro protagonista del romanzo, Ted Freeman, attendente del comandante della Vanguard, appartenente al distaccamento di Marines comandato pro tempore dal tenente, non sembra rispondere al modello maschile voluto dal corpo; e non a caso viene fatto oggetto di atti di nonnismo (varietà militare del bullismo), che alla fine arrivano all’attenzione di Tierney.

Quando però nella sopraffazione da parte di commilitoni più muscolosi entra una componente omosessuale, il meccanismo repressivo scatta inesorabile. Il nonnismo fa parte del gioco della vita militare; ma i queer in quel microcosmo virile non devono aver spazio. Così un episodio apparentemente insignificante scatena un meccanismo inarrestabile e spietato, nonostante il tenente si sforzi di evitare il disastro; e sarà lui a farne le spese, assieme al marine Freeman, reo di non rispondere all’ideale macho imposto dal corpo dei Marines.

Ennesima sfaccettatura di quell’intolleranza onnipresente e soffocante che pervadeva l’America di Eisenhower e McCarthy (senza dimenticare Nixon), questo spaccato di vita militare diventa metafora della società civile, attraversata da giochi di potere nei quali viene travolto chi non si adatta ai modelli dominanti. Un romanzo forse non del tutto compiuto, con un finale nel quale Dubus sembra smarrirsi, che però manifesta già l’abilità nel giocare con i punti di vista: uno dei punti forti dell’autore nella sua narrativa matura.

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