C’è qualcosa che stona in modo evidente negli ultimi sviluppi sul sostegno dei Paesi occidentali all’Ucraina. Durante gli ultimi tre giorni, infatti, gli Stati uniti si sono mostrati più volte preoccupati del rischio che le forniture di armamenti possano determinare un’escalation del conflitto. Il che fa capire come anche l’interpretazione della realtà dipenda dalla scala di valori del soggetto che la analizza. Si provi a parlare di “escalation” con uno dei civili di Severodonetsk chiuso da due mesi al buio sottoterra o con un volontario di Lyman, ormai quasi conquistata dall’invasore. Ma gli Usa hanno i propri interessi e per Washington “escalation” significa allargamento del conflitto o, più precisamente, una minaccia diretta alla propria sicurezza.

ALLA CONFERENZA DI DAVOS sembra che i principali membri della Nato si siano accordati per negare l’invio di caccia e carri armati, il segretario generale della Nato aveva ribadito che l’Alleanza Atlantica non deve spingersi fino al punto da essere considerata una forza belligerante da parte di Mosca. Ieri alcuni rappresentanti del governo statunitense hanno voluto incontrare degli omologhi di Kiev per palesare questi timori. Difatti, mentre gli alleati forniscono all’Ucraina armi sempre più sofisticate e a più lunga gittata, gli Stati uniti hanno parlato del pericolo di un’escalation nel caso in cui l’Ucraina dovesse colpire il territorio della Russia, riporta l’agenzia Reuters, citando funzionari statunitensi e diplomatici anonimi. Uno di questi avrebbe dichiarato: «Siamo preoccupati per un’escalation, ma non vogliamo porre limiti geografici o legare troppo le mani all’Ucraina rispetto alle armi che stiamo fornendo».

Preoccupazione assolutamente legittima, verrebbe da pensare. Se non fosse che, e qui sta l’ambiguità, gli stessi Stati uniti sarebbero pronti ad autorizzare l’invio di sistemi missilistici a lungo raggio a Kiev. Lo riferisce la Cnn, specificando che si tratterebbe di Multiple Launch Rocket System (Sistema di lancio multiplo di razzi) o MLRS, i quali sono da tempo al centro delle richieste inesaudite del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Tali armamenti sono in grado si sparare una raffica di razzi per centinaia di chilometri, a una distanza molto maggiore rispetto a qualsiasi altro sistema presente in Ucraina e, stando a quanto detto più volte dai funzionari ucraini, potrebbero rappresentare una svolta nell’evoluzione della guerra. Il che sembrava esattamente il timore dell’amministrazione Usa.

QUALI VALUTAZIONI abbiano fatto propendere per tale decisione in seno all’amministrazione americana al momento non è dato saperlo. Tra l’altro, è significativo che l’altra grande richiesta di Zelensky in termini di forniture militari è il sistema Himars, meno pesante dell’Mlrs ma funzionante con lo stesso tipo di munizioni. Sappiamo che nell’ultima settimana la situazione sui vari fronti attualmente aperti in Donbass si è fatta più dura per le truppe ucraine e, forse, l’ok è arrivata proprio per dare nuova linfa alle capacità offensive di Kiev. Ma la discrasia evidente tra i proclami e i comportamenti americani stavolta è inopinabile.

 

Multiple Launch Rocket System Lockheed Martin

 

Tuttavia per Boris Johnson, che nella fornitura di armi è sempre stato coerente con i suoi annunci incendiari, «ciò di cui hanno bisogno ora è il sistema Mlrs, che consentirà loro di difendersi dall’artiglieria russa ed è in questa direzione che il mondo deve orientarsi».

DALLA RUSSIA, IN CONTROTENDENZA con l’andamento della guerra, quattro membri del Partito comunista della legislatura regionale del Primorye Krai, nell’estremo oriente russo, hanno chiesto ufficialmente al presidente Vladimir Putin di porre fine alla guerra in Ucraina. Leonid Vasyukevich, uno dei membri, avrebbe dichiarato durante una riunione dell’assemblea legislativa che le truppe russe stanno subendo pesanti perdite e nessun successo militare. «Giovani che potrebbero essere di grande utilità per il nostro Paese stanno morendo o diventando disabili a causa delle ferite», avrebbe aggiunto Vasyukevich. L’appello però è rimasto un’iniziativa isolata e la stessa leadership del partito l’ha successivamente condannato.

ANCORA PIÙ SCALPORE ha suscitato la notizia che 115 guardie nazionali russe sono state licenziate per essersi rifiutate di andare a combattere in Ucraina. Lo riporta il quotidiano britannico The Guardian che cita gli atti del tribunale, pubblicati sul suo sito web istituzionale. Il caso è venuto alla luce mercoledì scorso, dopo che il tribunale di Nalchik, capitale della repubblica cabardino-balcanica nel Caucaso russo dove tale unità della Guardia nazionale ha sede, ha respinto l’appello dei militari che contestavano il precedente licenziamento. La vicenda è stata interpretata da molti come segno del malcontento che si sta diffondendo in alcuni settori dell’esercito, soprattutto nelle regioni periferiche della Federazione Russa.

IL PRESIDENTE PUTIN non si è espresso sull’accaduto ma un’altra sua dichiarazione, riportata dalla Tass, ha ricordato quanto la pace sia lontana. Il capo del Cremlino, infatti, in una telefonata con il cancelliere austriaco Karl Nehammer, avrebbe esplicitamente detto che «Kiev ostacola il processo negoziale con la Russia» e che i tentativi di biasimare la Russia per le mancate forniture alimentari sono «infondati» in quanto la colpa sarebbe dell’Ucraina che non ha sminato le acque nei pressi dei porti impedendo il transito delle navi.

Al termine di un’altra telefonata, a colloquio con Mario Draghi, Zelensky fa sapere che ha informato il premier italiano sulla situazione al fronte e che «ci aspettiamo ulteriore sostegno alla difesa da parte dei nostri alleati». Inoltre, «è stata sollevata la questione dell’approvvigionamento di carburante» e si è parlato di «modi per prevenire la crisi alimentare». «Dobbiamo sbloccare i porti insieme» conclude il presidente ucraino.