Tra camminate urbane, esplorazioni naturali e cortei, il collettivo di scrittori Wu Ming percorre il territorio investito dall’alluvione praticamente da sempre. Per questo abbiamo chiesto loro come giudicano gli eventi di questi giorni, a partire dal dissesto idrogeologico.

« Forse proprio il concetto di ‘dissesto idrogeologico’ non rende più nemmeno l’idea – spiegano – La cementificazione e l’incessante valanga di grandi opere inutili hanno causato sia la distruzione cieca delle risorse idriche, cosa che aggrava l’impatto dei periodi di siccità, sia l’impermeabilizzazione del suolo, cosa che aggrava l’impatto delle precipitazioni, come vediamo in questi giorni. Ci siamo occupati molto di grandi opere inutili. Ora, le risorse idriche sono state distrutte anche dagli innumerevoli trafori. Siamo un paese all’82% montuoso-collinare ma per il capitale montagne e colline sono solo ostacoli, non preziosi ecosistemi e indispensabili serbatoi d’acqua. La tragedia idrologica causata dai lavori per l’Av Bologna-Firenze – cento corsi d’acqua scomparsi quando la talpa intercettò una falda, è solo una delle tante storie che non hanno potuto insegnare niente a nessuno perché sono state sepolte sotto strati di propaganda, nello specifico propaganda su quant’era bello metterci un quarto d’ora in meno a percorrere quella tratta. È in nome di questi presunti ’vantaggi’ e ’guadagni’ di tempo che si sta devastando tutto il devastabile».

Succede nella terra che decenni fa per prima vide forme di pianificazione urbanistica per difendere il territorio e i diritti sociali.
Il mito della pianificazione all’emiliana ha un nucleo di verità ma andrebbe ridimensionato. Grazie all’intelligenza di architetti e urbanisti come Cervellati e Campos Venuti, e grazie alla decisione intelligente di valorizzarli, si sono fatte belle cose. Si è impedito lo scempio dei colli a sud della città, ad esempio. Al tempo stesso, però, dalle vecchie amministrazioni Pci Bologna e la regione tutta hanno ereditato le conseguenze di scelte brevimiranti e disgraziate. Scelte urbanistiche, come quella di realizzare la tangenziale praticamente dentro la città, o quella di smantellare la rete tramviaria, e scelte di politica economica, come quella di puntare su plastica, automotive, industria della carne, tutto ciò di cui in realtà dovremmo liberarci. In ogni caso, la pianificazione all’emiliana la classe dirigente emiliano-romagnola ha cominciato ad abbandonarla una quarantina d’anni fa, e da allora è stato puro scempio del territorio.

Vi siete schierati contro il Passante di Bologna. Come incide su disastri del genere?
Il raddoppio di tangenziale e A14 fino a 18 corsie avrebbe giù un impatto immane di suo, in termini di consumo di suolo, emissioni, inquinamento. Ma questo è nulla, perché la realizzazione del passante porterebbe con sé decine di opere «accessorie» e sbloccherebbe progetti di infrastrutturazione vecchi di decenni. Su Giap l’abbiamo definita «un’alta marea d’asfalto». Tutto questo con la solita motivazione ufficiale, quella di «fluidificare» il traffico. Ma il passante non sarà decisivo per risolvere il problema della congestione lo ammettono persino i proponenti. E secondo praticamente ogni esperto indipendente, il passante aggraverà il problema del traffico (e conseguentemente dell’inquinamento).

È ormai dimostrato da molti studi di economia e scienza dei trasporti che la costruzione di nuove strade per automobili in un’area urbana congestionata induce ulteriore traffico privato e riduce gli investimenti in quello pubblico, aggravando la congestione e allungando i tempi di percorrenza sia dei mezzi privati sia di quelli pubblici. È scienza acquisita da decenni, ma guardacaso, la stessa classe dirigente che per altre questioni usa «la Scienza» come clava e pseudoconcetto che chiude ogni discussione (si è visto durante la pandemia), quando vuole asfaltare e cementificare tratta il metodo scientifico come una seccatura, roba da ignorare a ogni costo.

Va detto chiaro e tondo che non servono altre infrastrutture di trasporto, nemmeno presuntamente «verdi», come ad esempio il progetto di tram a Bologna, pleonastico perché segue più o meno il tracciato del servizio ferroviario metropolitano, ma utile a gonfiare nuove bolle edilizie lungo il suo tracciato. Siamo già uno dei paesi più infrastrutturali al mondo, e siamo il paese europeo con la maggior percentuale di consumo di suolo rappresentata da infrastrutture di trasporto: strade, ferrovie, parcheggi e aree di cantiere coprono il 51% del territorio artificiale.

Come si racconta, da scrittori, questa apocalisse?
Nelle narrazioni anche benintenzionate sul clima c’è un deficit di conflitto. E invece proprio il racconto del conflitto può farci uscire da cornici che avevamo attivato perché sembravano avere una carica critica – una su tutte, la distopia come cautionary tale – ma sono diventate comode e deresponsabilizzanti. Raccontare i conflitti incentrati sul territorio e le sue contraddizioni, nel momento in cui il disastro climatico le acuisce. Anche conflitti passati. Wu Ming 1 sta lavorando sulle resistenze popolari a certe bonifiche ottocentesche in Emilia orientale, bonifiche di cui oggi vediamo tutti i limiti ma che allora preparavano le magnifiche sorti e progressive. Nondimeno furono combattute, e quelle lotte oggi si dimostrano più lungimiranti delle opere che non riuscirono a fermare.