I nuovi equilibri europei continuano a far discutere la maggioranza. Giorgia Meloni è impegnata a spiegare le scelte che hanno portato il gruppo dei conservatori e Fratelli d’Italia a non votare per Von der Leyen.

PARLANDO al Corriere della sera definisce «surreali» e «infantili» le critiche che le vengono rivolte e spiega di aver chiesto ai suoi di esprimersi contro il bis della presidente della Commissione «per coerenza al risultato delle Europee di giugno e non per ragioni di partito. Non tengono in considerazione cosa i cittadini hanno chiesto l’8 e 9 giugno». E ancora, rivolta alle opposizioni: «Il Movimento 5 Stelle mi insulta perché ho votato come loro, il Partito democratico perché non ho votato come loro».

Insomma, la premier cerca di scaricare le contraddizioni sulla minoranza ma evade il tema centrale: aveva scommesso sullo spostamento a destra del baricentro della maggioranza al parlamento europeo e, forse ancor di più, aveva confidato in uno spazio politico agibile a destra dei popolari. Entrambe le condizioni non si sono realizzate, da qui deriva la sua difficoltà. Non a caso Fabio Rampelli le viene in soccorso evocando ancora una volta «la prospettiva ineluttabile, nei tempi che ci vorranno per realizzarla, è quella di un’alleanza tra popolari, conservatori e nazionalisti». Intanto, Meloni esplicita l’obiettivo sul commissario che tocca all’Italia: «La nostra priorità – manda a dire a Von der Leyen – sono le deleghe di carattere economico, industria, competitività, coesione, che ci consentano di aiutare l’Italia e l’Europa».

MA, APPUNTO, l’alleanza evocata dalla destra sul calco del modello italiano proprio sui nuovi scenari Ue discute, non senza qualche tensione. Antonio Tajani, ad esempio, attacca: «Qualcuno dice che abbiamo votato come la Schlein e come i Verdi – afferma il leader di Forza Italia – Potrei dire allora che chi ha votato no ha votato come Salis e Fratoianni e come Conte, ma sarebbe una risposta puerile. Come è puerile dire che abbiamo votato con la sinistra». Così, se dal partito della premier rivendicano la coerenza per spiegare il voto contro Von der Leyen, Tajani si appiglia allo stesso refrain. «Noi abbiamo fatto una scelta coerente – sostiene – Abbiamo sempre detto che avremmo votato per lei. Ha vinto la linea del Ppe, abbiamo eletto la presidente del parlamento e quella della Commissione europea, entrambe della nostra famiglia politica».

IL PUNTO di caduta è esattamente la linea di demarcazione tra chi sta dentro e chi sta fuori i giochi di potere: «Noi staremo nella cabina di comando – rivendica ancora Tajani – L’estrema destra di Le Pen è fuori da qualsiasi gioco, non perché manca la democrazia. Non li vogliono, non li eleggono. Non sono stati eletti i vicepresidenti dei Patrioti, che ancora una volta si dimostrano ininfluenti. Il problema è che anche i patrioti italiani rischiano di essere ininfluenti all’interno dei patrioti europei, però questo lascia il tempo che trova».

A ESSERE CHIAMATO in causa è dunque anche la Lega di Matteo Salvini. Che risponde a stretto giro: «I patrioti sono il terzo gruppo all’europarlamento e conteremo sempre di più – afferma – L’Italia deve sperare che a essere irrilevanti siano i Verdi che hanno votato Von der Leyen anziché i partiti di centrodestra che hanno fatto scelte diverse ma che governano bene il paese». E la bocciatura di Roberto Vannacci come vicepresidente del gruppo dei Patrioti? «Sistemeremo tutto – assicura il leader leghista – Vannacci è stato il secondo più votato in tutta Italia, il primo in casa Lega, avrà il ruolo importante che merita». Nel frattempo, dall’entourage di via Bellerio fanno trapelare risposte stizzite alle affermazioni di Tajani: «Votare con Schlein per una poltrona è imbarazzante – dicono i leghisti – Meglio senza vicepresidenti che con Verdi e sinistre».