Legge elettorale, il passo di lato della Consulta
La sentenza 35/2017 sull’Italicum dimostra che la grande e ostentata attesa delle forze politiche non aveva ragione di essere. Tutto quel che serviva era già desumibile dal comunicato del 24 […]
La sentenza 35/2017 sull’Italicum dimostra che la grande e ostentata attesa delle forze politiche non aveva ragione di essere. Tutto quel che serviva era già desumibile dal comunicato del 24 […]
La sentenza 35/2017 sull’Italicum dimostra che la grande e ostentata attesa delle forze politiche non aveva ragione di essere.
Tutto quel che serviva era già desumibile dal comunicato del 24 gennaio.
Le motivazioni rendono invece evidente che la Corte vuole mantenere una formale continuità con la sentenza 1/2014, evitando di contraddirla esplicitamente; al tempo stesso, non intende fare alcun passo avanti rispetto a quella pronuncia.
Così è per il secondo turno di ballottaggio, che viene censurato per la mancanza di soglia in quanto continuazione del primo turno. Dunque, non perché idoneo di per sé a produrre una sproporzione eccessiva tra consensi reali e seggi attribuiti. Anzi la Corte si dà pena di sottolineare la possibilità di un ballottaggio conforme a Costituzione. Un implicito suggerimento?
Così è per il premio di maggioranza, assolto perché nell’Italicum è stata inserita la soglia mancante nel Porcellum.
La corte ne affida la misura al legislatore, solo affermando apoditticamente che il 40% non è manifestamente irragionevole. Eppure, la disproporzionalità e la distorsione della rappresentanza sono molto elevate. Senza riferimenti oggettivi, dove inizia la manifesta irragionevolezza? E se qualcuno volesse abbassare l’asticella, magari verso il 35%?
Così è infine per i capilista bloccati, che la Corte distingue dalle liste integralmente bloccate colpite nella sentenza 1/2014. Secondo la Corte, il fatto che il voto sarà comunque bloccato per la gran parte degli eletti non assume rilievo, perché attiene al funzionamento in concreto del sistema, e all’atteggiamento delle forze politiche. Dunque, non attiene alla costituzionalità. E cade nell’ovvio l’invito al legislatore a far meglio del sorteggio per le candidature plurime.
La Corte dà disco verde anche al cumulo tra soglia di accesso alla rappresentanza e premio di maggioranza. In realtà traduce la semplificazione del sistema politico in elemento accessorio della governabilità. Ovviamente, essendo la maggioranza parlamentare assicurata dal premio, una semplificazione può solo tendere alla normalizzazione – non necessaria – di una turbolenta assemblea elettiva. È la costituzionalizzazione del principio di «non disturbare il manovratore».
Infine, la Corte invita il legislatore a provvedere per la omogeneità tra camera e senato. Ma il tribunale di Messina aveva sollevato sul punto una questione. La corte la dichiara inammissibile, perché il giudice non ha chiarito da quali elementi di disomogeneità deriva la ingovernabilità. Un argomento di sicuro non insuperabile.
Forse tutto si chiarisce considerando che affrontare la questione nel merito avrebbe posto alla Corte una domanda ineludibile: la legge che in un bicameralismo paritario pone un premio di maggioranza in una sola camera non scivola per questo nell’area della «manifesta irragionevolezza» e della conseguente incostituzionalità?
Non vediamo nella pronuncia della Corte solidi argini a difesa della democrazia.
Una nuova iniziativa giudiziaria rimane possibile, perché la Corte ha confermato la sentenza 1/2014 respingendo le eccezioni di inammissibilità dell’Avvocatura di Stato. Ma le prospettive di successo nel merito sarebbero ridotte, a meno di un cambiamento di rotta oggettivamente – e soggettivamente – improbabile. Forse rimane uno spiraglio sul premio, per il profilo del voto eguale. Una legge che prevede con l’applicazione del premio un quoziente elettorale di maggioranza e uno di minoranza manipola il peso in uscita del voto rendendolo fatalmente e artificiosamente diseguale.
Poteva la corte dire di più? Probabilmente, poteva. Perché non l’ha fatto?
Una lettura in bonam partem dice che la Corte ha guardato a quello che ritiene il ruolo appropriato per un giudice di costituzionalità. In malam partem, che ha inteso favorire questa o quella forza di governo, o il governo come tale. Ovviamente, i singoli giudici avranno assunto l’una o l’altra lettura. La mancanza di un esplicito dissent – che più volte ho lamentato – impedisce di saperne di più, lasciando un velo di ambiguità.
Che fare? Chi pensa sia oggi il tempo del proporzionale, per le esigenze poste dall’assetto multipolare e dalla necessità di ricostruire un sistema di soggetti politici stabilmente strutturati, deve fare ogni sforzo per portare tali esigenze nel dibattito in corso.
Nel caso siano disattese, bisogna sapere che potrà toccare ancora a noi, cittadini della Repubblica, scendere in campo per una nuova iniziativa referendaria.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento