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Legge elettorale, attenti ai nostalgici dell’Italicum

Non ho in programma di organizzare una nuova impugnazione collettiva della terza legge elettorale incostituzionale. Non perché io sia stanco, ma perché significherebbe che si sono disattese per la terza […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 14 marzo 2017

Non ho in programma di organizzare una nuova impugnazione collettiva della terza legge elettorale incostituzionale. Non perché io sia stanco, ma perché significherebbe che si sono disattese per la terza volta le sentenze della Corte costituzionale e, fatto ancora più grave, le indicazioni del popolo italiano il 4 dicembre 2016.

L’esito del referendum costituzionale e la sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum hanno segnato la fine di un’epoca o, per non esagerare, di un triennio di governo a guida Renzi e di scelte politiche in contrasto con ogni idea di centro-sinistra, come politica popolare e di progresso. Hic Rhodus, hic salta: non c’è credibilità senza segni tangibili di un cambiamento di rotta, specialmente da parte di chi ha contribuito a far approvare l’Italicum con forzature regolamentari e in contrasto con l’articolo 72 della Costituzione e ha sostenuto le ragioni del Si alla deforma costituzionale. La cartina di tornasole è la nuova legge elettorale, che non deve essere, almeno per questa volta, una riedizione di leggi, che per la governabilità sacrifichino la rappresentanza in violazione dei principi costituzionali sul diritto di voto, eguale, libero e personale e diretto per camera e senato. Ogni premio basato su una soglia percentuale nazionale, che venga spalmato sui collegi viola il principio del voto personale e diretto. Proprio l’Avvocatura dello stato per difendere davanti alla Corte costituzionale il premio di maggioranza fissato in 340 seggi , cioè il 55% dei deputati eletti nel territorio nazionale, ne ha sostenuto la necessità con l’argomento che manca il divieto per i parlamentari di «cambiare casacca». Tuttavia, se così è, non si giustifica il sacrificio della rappresentanza a fronte di una governabilità del tutto aleatoria. Se, invece, il premio di maggioranza fosse vincolante per gli eletti della lista beneficiaria, allora la violazione del divieto di mandato imperativo ex articolo 67 della Costituzione sarebbe patente. Dopo la sentenza n.1/2014 la sola scelta costituzionalmente corretta, visto il riferimento in sentenza agli articoli 61 e 77 , sarebbe stata di concedere alle camere uno spatium deliberandi di 60/70 giorni per adottare una legge elettorale conforme ai principi della Consulta, trascorso inutilmente il quale il presidente della Repubblica avrebbe dovuto scioglier le camere per consentirne il rinnovo con una legge di impianto proporzionale – a parte le assurde soglie di accesso per il senato, il doppio di quelle camera con la metà dei suoi membri. Quando anche applicando al senato lo sbarramento del 4% (quello della camera), i partiti sopra soglia potrebbe eleggere con sicurezza un senatore soltanto nelle Regioni con almeno 25 senatori (Sicilia, Campania, Lazio e Lombardia e forse coi resti Veneto e Piemonte). Senza l’abolizione del premio di maggioranza al primo turno, diventerebbe forte la tentazione di reintrodurre le coalizioni. Un nuovo centro-sinistra non sarebbe altro che lo specchietto per le allodole per legittimare un premio di maggioranza al primo turno e confermare i capilista bloccati, logica conseguenza di liste composite di diverse anime (Campo Progressista, ex Pd, ex Sel e personalità indipendenti) per garantirsi una quota di eletti. Un film già visto con la Sinistra Arcobaleno.

Il referendum è stato vinto dagli elettori ignoti influenzati dalle ragioni del No, ma non solo. In ogni caso elettori ed elettrici che si sono recati autonomamente alle urne, senza che nessun comitato o partito ve li conducesse per mano. Se non diamo una risposta politica adeguata alla loro protesta, ritorneranno delusi all’astensione. Malgrado il successo del M5s tra il 1996 e il 2013 sono scomparsi 3 milioni di voti validi. Non deludiamoli. Altrimenti non possiamo prevedere quale direzione prenderanno, quando riemergeranno dalla clandestinità elettorale.

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