L’educazione sessuale si fa solo se è autogestita
Lotta libera Il governo sull’onda all’emergenza arriva tardi e male. Ragazze e ragazzi chiedono altro
Lotta libera Il governo sull’onda all’emergenza arriva tardi e male. Ragazze e ragazzi chiedono altro
Passo sicuro, tuta nera e bomber, Greta, diciottenne dell’ultimo anno del Liceo Socrate di Roma, parla senza esitazioni. Sembra molto più grande, solo lo zaino azzurro tenuto su una spalla all’uscita di scuola tradisce la sua giovane età. «Non ho mai assistito a una lezione di educazione sessuale nella vita – dice seria -, l’abbiamo fatto presente al preside l’anno scorso, ma senza ottenere nulla… È stato, anzi, tra i motivi che ci ha portato a occupare la scuola». É proprio in questo momento, durante l’occupazione, che gli studenti riescono a organizzare una lezione sulla sessualità consapevole con una sessuologa. Era il 2022 e nonostante le numerose iniziative da allora è cambiato ben poco.
NEL CLIMA DI EMERGENZA sollevato dagli episodi di violenza che hanno scosso l’opinione pubblica nell’ultimo anno e portato drammaticamente alla luce la gravità della situazione, è stato approvato mercoledì in Senato, insieme al Ddl Roccella, il progetto «Educare alle relazioni». Promosso dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, il programma prevede 30 ore complessive di gruppi di discussione mediati da un docente referente o da un professionista sui temi del rispetto di genere.
Il progetto arriva molto in ritardo e appare parziale.
Gli incontri non solo sono facoltativi, quindi spesso affossati nella scuola pubblica a fronte di programmi scolastici irrealistici, ma tralasciano completamente la sfera sessuale. Rispetto e relazione, parole più care al governo, vengono sostituite all’affettività e alla sessualità. Caterina Camilli, ostetrica e educatrice di Associazione Selene che da anni si impegna nell’informazione sessuale tra i giovani, spiega: «L’aspetto sociale dev’essere affrontato insieme con l’anatomia. L’educazione dev’essere sessuale e sentimentale per crescere adulti consapevoli».
Il rischio della disinformazione è alto, sia dal punto di vista prettamente sanitario che sociale. L’Osservatorio Indifesa dell’ong Terre des Hommes ha rilevato un aumento dei reati collegati alla violenza sessuale, con 1.332 casi, di cui le giovani sono l’88% delle vittime. Si nota una crescita dell’8% nei reati a danno dei minori in Italia, per un totale di 6.248 casi nel 2021, il numero più alto mai registrato. Di questi, il 64% ha avuto per vittima una bambina o una ragazza. Tra i più recenti, il femminicidio della giovane Giulia Cecchettin, brutalmente uccisa dal suo ex fidanzato, ha costretto le istituzioni a prendere provvedimenti. Come ha detto Elena Cecchettin, sorella di Giulia, per prevenire la violenza di genere «serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso».
SONO LE STESSE RAGAZZE e ragazzi a chiedere un’educazione in ambito scolastico su questi temi. Come si nota nell’«Indagine nazionale sulla salute sessuale e riproduttiva degli adolescenti» (2019), è schiacciante la percentuale di studenti che ritengono che la scuola debba garantire l’informazione su sessualità e riproduzione (93%).
D’altronde la mancanza di un fronte comune istituzionale e di omogeneità di intenti ha creato un vuoto educativo che i singoli professori stentano a colmare.Il progetto «Educare alle relazioni» rischia di trovare docenti inesperti, il cui intervento può risultare più dannoso che efficace. «Molti colleghi sono impreparati e hanno loro stessi forti tabù da superare» spiega Carmela Pirri, professoressa di Inglese in una scuola media di Roma est.
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«Il fattore di rischio più elevato per una donna è essere donna»IL DELICATO EQUILIBRIO tra la sfera intima e privata della sessualità e la dimensione sociale del giovane cittadino, si intreccia con quello altrettanto precario tra l’influenza della famiglia e quella dell’educazione laica statale, lasciando la salute mentale e fisica degli adolescenti nelle mani di Google. In questo contesto nascono, su richiesta delle studentesse e degli studenti, delle realtà formative autogestite, workshop svolti in presenza, a cui partecipano attivi e numerosi.
«Erano una marea. Erano ovunque, sui banchi, sulle barricate, dietro di me e davanti, per terra». Durante l’occupazione, attorno a Caterina Camilli, educatrice e ostetrica di Associazione Selene, si sono riuniti gli studenti del Liceo Virgilio di Roma. All’inizio si parla dell’anatomia degli apparati genitali maschili e femminili e, dagli sguardi perplessi che serpeggiano nell’atrio della scuola, si percepisce la lacuna del sistema scolastico anche in materie di curriculum come la biologia. «Sono contenta di poter avere un confronto reale» dice Irene, 18 anni, studentessa del Virgilio e, indicando il telefono nell’altra mano, conferma: «Ho sempre cercato tutto su internet».
OLTRE AL LICEO VIRGILIO e al Cavour, Associazione Selene ha raggiunto le occupazioni e le autogestioni di altri istituti scolastici, come il Kant e il Croce Aleramo nella zona est di Roma, passando per il Machiavelli e il Mamiani. Durante gli incontri in queste scuole, raccontano le ostetriche, sono emerse situazioni critiche. Casi come quello di una ragazza in lacrime che aveva subito violenze o di un’altra che non aveva le mestruazioni da mesi a causa di disturbi alimentari.
Appare chiaro che le ragazze e i ragazzi non sappiano a chi rivolgersi e secondo lo Studio nazionale sulla Fertilità (2018), i consultori della Asl rimangono poco utilizzati. In mancanza di comunicazione e presenza sul territorio, i collettivi autogestiti sopperiscono alla carenza del servizio pubblico. A Catania nel 2019 ha aperto il consultorio autogestito Mi Cuerpo Es Mio, nato come centro antiviolenza per poi fornire supporto in vari ambiti: medico, psicologico, sessuale e legale. Viene considerato uno spazio sicuro dove confidarsi e dove ottenere gratuitamente preservativi, test di gravidanza e oggetti premaman.
«QUANDO NE PARLO la gente appare meravigliata – racconta Benedetta Tringali, volontaria del collettivo -, ma non facciamo niente di più di quello che dovrebbero fare le istituzioni». La richiesta è stata altissima. «Quando arrivano ragazzine di 12 anni e signore di 80, capisci che c’è una vera emergenza – aggiunge Tringali -. Comunicare e fare rete sono le uniche soluzioni per far fronte a questa situazione».
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