Le carte di Lapid: lo spauracchio Netanyahu e la guerra ai palestinesi
Israele Il premier uscente ha puntato la campagna elettorale sull'economia e i guai giudiziari del rivale Netanyahu ma la sua crescita nei sondaggi è frutto del pugno di ferro che sta usando contro i palestinesi sotto occupazione
Israele Il premier uscente ha puntato la campagna elettorale sull'economia e i guai giudiziari del rivale Netanyahu ma la sua crescita nei sondaggi è frutto del pugno di ferro che sta usando contro i palestinesi sotto occupazione
La sede elettorale centrale di Yesh Atid (C’è un futuro), il partito centrista del primo ministro Yair Lapid e all’Asia House a Tel Aviv. Mancano pochi giorni al voto e nell’ampio ufficio, arredato in modo spartano e decorato da qualche poster elettorale, non notiamo il fermento di queste situazioni tra militanti e volontari. Dipenderà dall’ora, pensiamo, sono le 10.30 del mattino. O forse l’atmosfera poco elettrica è solo il riflesso della stanchezza generale per la quinta votazione per il rinnovo della Knesset in appena tre anni e mezzo. Ci accoglie la portavoce Yaara Di Segni, nata e cresciuta in Israele ma con origini italiane.
«La sicurezza personale è sempre stata una questione di grande importanza (per i cittadini israeliani) e così le questioni economiche e il costo della vita che in Israele, come nel resto del mondo, hanno creato una situazione molto difficile» ci dice spiegando i punti principali sui quali insiste la campagna elettorale di Yesh Atid. «Ci occupiamo molto» aggiunge «della stabilità politica. Ci sono state quattro elezioni senza esito per la composizione di un esecutivo, poi è stato formato un governo molto complesso durato un anno e mezzo. Ora (stando ai sondaggi) ci troviamo di nuovo in una paralisi con 60 seggi (sui 120 della Knesset) per lo schieramento che fa capo all’ex premier Benyamin Netanyahu e 60 per lo schieramento opposto. Offrire stabilità perciò è fondamentale».
Di Segni si augura che i sondaggi saranno smentiti dai risultati del voto. In caso contrario Yesh Atid e i partiti alleati così come il Likud di Netanyahu, la destra estrema e i partiti religiosi ortodossi, si ritroveranno allo stesso punto dell’inizio del 2019, quando le elezioni non portarono alla formazione di alcuna maggioranza. Prevale il pessimismo. Un sondaggio, diffuso martedì sera dalla tv Canale 13, prevede un numero record di seggi, 27, per Yesh Atid, con il blocco di opposizione stabile a 60 seggi, quindi al di sotto della maggioranza ma più vicino ad essa rispetto allo schieramento rappresentato da Lapid, fermo a 56. Gli altri seggi in palio sono legati a ciò che faranno i partiti ora sulla soglia di sbarramento del 3,25%, come la Lista araba Hadash-Ta’al, non allineata.
Nei cinque mesi in cui è stato premier, in sostituzione di Naftali Bennett, Lapid ha messo un po’ da parte il carattere laicista originario di Yesh Atid per privilegiare altri temi. In politica interna ha puntato non poco sulla «questione legale», ossia sullo status di Netanyahu che pur essendo sotto processo per corruzione e abuso di potere punta ugualmente a tornare alla guida del paese. Yesh Atid ha accolto con sdegno le dichiarazioni di Bezalel Smotrich, uno degli esponenti di punta dell’ultranazionalismo, il quale ha lasciato capire che, in caso di vittoria della destra, sarà trovato il modo di salvare Netanyahu dai suoi guai con la giustizia.
«Trovo preoccupante che la gente (in Israele) consideri legittima per la carica di primo ministro una persona accusata di reati tanti seri» afferma Yaara Di Segni. «Abbiamo preso molto sul serio le parole di Smotrich», prosegue «sono la prova della pericolosità di questo clima in cui Netanyahu per la sua sopravvivenza personale, per rimanere al potere, ha creato una situazione in cui si prevedono cambiamenti estremi del sistema giuridico. Certo, ci sono delle cose che devono modificare ma non perché il signor Netanyahu è sotto processo».
Il leader della destra però va sempre forte e, a conti fatti, tanti israeliani non considerano rilevanti i suoi reati e sono pronti a votarlo. Se per la «questione legale» i risultati della campagna elettorale di Yesh Atid sono stati modesti, Lapid invece ha raccolto molti consensi imitando i suoi predecessori. Ha irrobustito la sua immagine di ex giornalista senza un solido passato militare, che in Israele conta molto, usando il pugno di ferro con i palestinesi sotto occupazione. I cinque mesi in cui ha guidato il governo sono stati segnati da una collaborazione intensa con il ministro della difesa Benny Gantz.
Le forze armate israeliane prima hanno lanciato ad agosto una «guerra preventiva» di tre giorni contro Gaza (49 palestinesi uccisi, di cui 17 bambini) e poi hanno intensificato quelle che sono descritte come «operazioni antiterrorismo» a Jenin, Nablus e altre città e villaggi nella Cisgiordania occupata. Raid che hanno fatto molte decine di morti. L’ultimo a inizio settimana ha ucciso cinque palestinesi a Nablus.
Lapid ha rafforzato la sua immagine tra gli israeliani e i risultati si vedono nei sondaggi. Ma l’appello al «voto utile» per battere Netanyahu che ha lanciato di recente rischia di rivelarsi letale per alcuni dei suoi alleati. Ieri i partiti Laburista e Meretz hanno avvertito che cedendo altri voti a Yesh Atid potrebbero non superare la soglia di sbarramento. In quel caso Netanyahu otterrebbe la maggioranza.
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