Commenti

Quelle bizzarre somiglianze tra Nixon e Trump

Quelle bizzarre somiglianze tra Nixon e Trump

Watergate/Russiagate La cronaca di questi giorni sembra autorizzare paralleli storici, ma i remake dei film di successo sono sempre inferiori all’originale. A salvare il presidente Usa, per ora, resta il sostegno tribale della base repubblicana

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 25 aprile 2018

Improvvisamente, la possibilità di un successo in politica estera dell’amministrazione Trump sembra diventata concreta. L’annuncio da parte della Corea del Nord della sospensione dei test nucleari e, soprattutto, della chiusura di un sito per effettuarli, fa pensare che il vertice tra Kim Jong Un e Donald Trump possa dare risultati positivi, una prospettiva fino a poche settimane fa impensabile. In vista delle elezioni per il Congresso del 6 novembre, il presidente potrebbe quindi offrire al Partito repubblicano un risultato in politica estera che era sfuggito all’amministrazione Obama.

È possibile che ciò avvenga, ma gli incontri al vertice non sempre danno i risultati sperati, soprattutto quando le aspettative sono eccessive: difficilmente la Corea del Nord accetterebbe un completo smantellamento del suo programma nucleare. Supponiamo che tutto vada per il meglio: questo che effetto avrà sulla presidenza Trump?

Per capirne di più, forse non è inutile guardare a un’esperienza storica che bizzarramente assomiglia sempre più alla cronaca di questi giorni: la fine della presidenza Nixon, nel 1973-74. Anche in quel caso, infatti, una presidenza che poteva vantare numerosi successi in politica estera, assai più importanti di quelli eventuali di Trump, venne ugualmente travolta da un’indagine per malefatte compiute in campagna elettorale: ciò che è passato alla storia come il caso Watergate.

Occorre ricordare che Nixon, eletto nel 1968, riuscì nei quattro anni del suo primo mandato a compiere una storica visita in Cina, aprendo il dialogo con Pechino, ad avviare la distensione con l’Unione Sovietica, firmando un importante accordo di controllo degli armamenti e, soprattutto, a preparare il terreno per il ritiro delle truppe americane dal Vietnam, che sarebbe poi avvenuto nel 1973. Ciò nonostante, le indagini sull’irruzione di cinque cubani nella sede del Comitato Nazionale Democratico il 17 giugno 1972, non si arrestarono mai, diventando un cancro che divorò la presidenza Nixon.

I remake dei film di successo, come si sa, sono sempre inferiori all’originale e quindi è presto per dire se la traiettoria delle indagini condotte dal procuratore speciale Robert Mueller seguirà la stessa parabola di quelle degli implacabili Archibal Cox e Leon Jaworski 45 anni fa. Quello che sappiamo fino ad ora è che Mueller (un ex direttore dell’Fbi notoriamente spietato) ha già ottenuto la collaborazione di una mezza dozzina di personaggi coinvolte nei contatti con i russi durante la campagna elettorale del 2016, collaborazione che si sta pericolosamente avvicinando allo stesso Trump, o quanto meno ai figli Ivanka e Don junior.

L’altroieri, su Twitter, è apparso un collage di fotografie dei principali collaboratori di Trump (l’avvocato Michael Cohen, l’ex direttore della campagna elettorale Paul Manafort, oltre ai figli e al genero Jared Kushner) con la didascalia: «Avete raggiunto il centralino della linea diretta per negoziare un patteggiamento con Robert Mueller. Tutti i nostri agenti sono occupati con altri clienti. Per favore restate in linea». A Washington si fanno scommesse su quanto ci vorrà prima che Michael Cohen (una specie di “spazzino legale” incaricato di risolvere i problemi di Trump con le donne e con i creditori) si metta a parlare di tutti gli affari loschi di cui è a conoscenza.

Come Nixon 45 anni fa, Trump è paranoico, incapace di trattenersi, in preda ad attacchi di rabbia che si manifestano in raffiche di tweet contro tutto e contro tutti (Nixon non aveva questo sfogo e doveva limitarsi alle imprecazioni con i più fedeli collaboratori, peraltro fedelmente raccolte dal sistema di registrazione della Casa Bianca). Palesemente il governo è allo sbando, anche perché, al contrario di Nixon, che aveva al suo fianco Kissinger, Trump non ha un solido gruppo di collaboratori di alto livello: fin dall’inizio aveva reclutato solo personaggi di seconda categoria e anche quelli sono stati per la maggior parte licenziati.

A differenza di Nixon, però, Trump ha un sostegno tribale nella base repubblicana, che coltiva assiduamente con gesti simbolici quotidiani: fino a quando la fedeltà di questi elettori rimarrà intatta non deve preoccuparsi troppo dell’impeachment o dei titoli dei giornali. Più pericolose sono le indagini sul riciclaggio di denaro legate ai suoi affari, che potrebbero perseguitarlo negli anni a venire.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento