Scrivere, rispondere a un impulso celeste, a «uno stimolo provvidenziale». Piegarsi sulla pagina, dare al mondo una vocale avendo paura di tacersi. Muoversi per riempire uno spazio, scegliere una parola e rasserenare il mondo, oppure, fraintendere. Rompere il cristallo del presente con sarcasmo. Raccontare in una cronaca il disordine; assumere una verità come se si abitasse in quella frase. Come se quella frase fosse tutto il mondo. Rigettare, infine, le storie in un racconto, riordinare il caos per trasformare «l’irascibile in concupiscibile».

TERESA CREMISI, nelle Cronache dal disordine (La nave di Teseo, pp. 256, euro 20), raccoglie le parole impegnate in cinque anni di rubrica settimanale condotta per il Journal du Dimanche, scegliendo cento articoli di approfondimento per il pubblico italiano. Attraverso una scrittura che non rinuncia al classico e che gioca ripercorrendo le mitologie, Cremisi indaga i tratti incomprensibili del contemporaneo, restituendo, nella confusione tra vero e falso, tra commovente e ridicolo, l’immagine chiara di un tempo disordinato.

È L’ASPETTO DEL MONDO d’oggi: votato al disagio, alla compulsione, allo scandalo della contraddizione; descritto in queste pagine con finita leggerezza, avendo il coraggio di ritrovare, forse proprio nella pesantezza di ogni giorno, il rossore di un papavero più intenso. Capace di rintracciare le sfumature nelle voci quotidiane, di indagare tra le chiacchiere dei passanti le abitudini di un mondo al capolinea. È in questa misura che si torna al passato e, attraverso poche battute, si cerca di misurare le ambizioni di un «narcisismo tossico», in quegli sguardi tirati alla Musk che sembrano non dedicare più alcuno spazio alla vita.
Cento racconti dei nostri giorni finiscono presto per essere raccordi o – se vogliamo – ricordi: tanti «più ricordi di quanti ne avremmo se avessimo mille anni», souvenirs à la Baudelaire, pieni di grigiore e gravezza, descritti senza fretta, raccolti e legati tra di loro, scelti con una cura ambiziosa, semplice e necessaria.

Tra le pagine, i profili di presidenti e multimiliardari si rincorrono nel tempo dell’accidia, descritti senza anima e senza giovinezza; e ritornano i versi di Verlaine («Dimmi, che hai fatto, ridotto così, della tua gioventù?») in cui tutto il lusso finisce per essere raccolto nel silenzio, per astenersi dalla vita. Ci ricordiamo di quando, lontano dal caos, il mondo trovava il tempo per odorare un fiore, quando ancora si scopriva la giovinezza nella luce di una città al tramonto.

È IN QUESTE PAGINE che possiamo recuperare una critica alla finzione, a quella società attratta dalle false esigenze, che prevede (e concede) la cultura della cancellazione, il politicamente corretto, che precipita in un attimo verso la fine della poesia. Ecco il racconto di un istante in un mondo già esploso, nel tempo che proibisce a uno scrittore di rivendicare una parola, a un fisico di affermarla. Siamo, davvero, alla fine dell’ordine, quando le cose importanti già non contano più e le impressioni degli altri tornano ad essere quel «cicaleggio della gente» tanto amato da Madame de Staël. È perciò in contrasto a questo tempo e contro il dogmatismo contemporaneo che, come afferma Cremisi, occorre dichiarare – rivendicandolo – un principio letterario: guardare al caos e poterlo raccontare, trasformare una leggerezza in progresso. Del resto, non bisogna essere zoologi «specializzati in capodogli bianchi per tradurre Moby Dick».

BASTEREBBE VIVERE un po’ di più nelle parole e alzare lo sguardo ogni tanto. Senza pretendere di trovare un ordine a tutto ma limitando i danni, riconoscendo un po’ di più quanto s’è perso ieri. E chissà poi che l’ordine non sia davvero quello «sfilacciato rattoppo della disgregazione» che aveva scritto Calvino, quando, sognando un mondo di cristallo, s’era fermato a un semaforo di New York. E chissà davvero che svegliandoci domani, ancora più disgregati, non rimpiangeremo questo mondo e lo diremo ordinato.