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L’avvocato Eugenio Losco: «Riportare Ilaria Salis a casa? L’Europa dice che si può fare»

L’avvocato Eugenio Losco: «Riportare Ilaria Salis a casa? L’Europa dice che si può fare»

Il colloquio Il legale dell'italiana detenuta a Budapest: «Con i domiciliari in Ungheria rischia vendette dei neonazisti»

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 7 febbraio 2024

Il caso di Ilaria Salis, ormai da un anno detenuta in Ungheria, si sta facendo sempre più complicato. L’avvocato milanese Eugenio Losco lunedì ha accompagnato Roberto Salis, il padre di Ilaria, sia al ministero degli Esteri sia a quello della Giustizia, dove prima Tajani e poi Nordio hanno sostanzialmente detto che il governo italiano non ha alcuna intenzione di interferire con gli affari giudiziari di un paese straniero e che, dunque, non ha in programma alcun intervento diplomatico.

Avvocato, la Commissione europea ritiene che la decisione quadro sul reciproco riconoscimento delle misure cautelari sia applicabile anche al caso di Ilaria Salis e che bisognerebbe valutare alternative alla detenzione, cosa che però per il governo non è possibile…
Lo diciamo da settimane e ora la commissaria McGuinness conferma che la nostra lettura sul punto è corretta. Anche perché, lo ripeto per l’ennesima volta, si tratta di una decisione che vuole evitare discriminazioni, laddove può capitare, e infatti capita, che a parità di accuse il cittadino di un paese possa passare il periodo del processo fuori dal carcere mentre un cittadino straniero no.
Sta valutando l’ipotesi di presentare un’istanza al tribunale di Budapest per l’uscita di Ilaria dal carcere?
È una decisione che dobbiamo ancora prendere, sentendo anche gli avvocati ungheresi. In realtà, dopo gli incontri con i ministri Tajani e Nordio, non ci sono elementi di novità sul caso di Ilaria Salis. Di certo prepareremo un’istanza alla Corte europea dei diritti umani per le condizioni della sua detenzione, ma è un percorso lungo e difficile.
Cosa ne pensa dell’idea suggerita da Tajani di chiedere per Ilaria i domiciliari in Ungheria?
Penso che si tratti di un’idea di difficile attuazione. Lei vive a Milano, così come la sua famiglia, questo vuol dire che suo padre o sua madre dovrebbero trasferirsi a Budapest. Non basta avere un domicilio, serve anche qualcuno che faccia da garante e che si occupi dei suoi bisogni.
Ritiene che Ilaria possa correre qualche pericolo se dovesse uscire di prigione ma rimanere in Ungheria?
Be’, sui giornali di destra sono state messe sue foto, è stato diffuso il suo indirizzo e c’è stata una sorta di schedatura. Lei ha paura di ritorsioni nei suoi confronti e mi pare che questa paura sia fondata, perché già sono capitati casi del genere. Vorrei ricordare inoltre che già l’anno scorso, durante il periodo del cosiddetto Giorno dell’onore, si sono verificate delle aggressioni di stampo neonazista a Budapest e gli accusati sono stati messi in libertà quasi subito. Insomma, mi sembra che il pericolo di vendette su Ilaria sia assai concreto.
Intanto il processo procede a rilento. La prossima udienza è fissata per il 24 maggio.
Sicuramente la questione dei tempi lunghi va tenuta in considerazione: dopo l’appuntamento di maggio ce ne saranno altri dopo l’estate, difficilmente questo processo finirà entro il 2024 e, alle condizioni date, Ilaria dovrà passare tutto questo periodo in carcere.
Avrà sentito dire in questi giorni che se la situazione in Ungheria è drammatica, in Italia non è poi tanto migliore.
E quindi? È vero che ci sono problemi in Italia, ma si deve lavorare per risolverli. Poi, ecco, il fatto che qui la situazione sia difficile vorrebbe dire che non dobbiamo pensare a quello che accade in Ungheria? Non posso condividere questa posizione.
Nordio, tra le altre cose, ha detto a lei e a Roberto Salis che ci sono circa 2.500 italiani detenuti nel mondo e che non si possono fare favoritismi.
A parte che bisognerebbe occuparsi di tutti e 2.500 questi detenuti, vorrei sapere qualcosa di più specifico: sono tutti in paesi europei come Ilaria Salis? Sono condannati definitivi o in attesa di processo? Questi numeri vanno spiegati bene, altrimenti non significano poi molto.
Il 13 febbraio, in Corte d’Appello a Milano, si tornerà a discutere del caso di Gabriele Marchesi, il ragazzo che rischia la consegna all’Ungheria perché anche lui accusato di aver preso parte ad alcune aggressioni a neonazisti.
La procura generale ha valutato gli approfondimenti forniti dall’Ungheria sulla condizione delle sue carceri e pensa che siano insufficienti, quindi mi ha confermato che continuerà a opporsi alla consegna di Marchesi. Certo è un caso difficile: i mandati di cattura europei di solito sono procedure burocratiche abbastanza veloci che si fondano sulla fiducia tra gli stati. Colpisce che a volte questa fiducia ci sia e altre volte no: perché per Ilaria Salis la cooperazione tra paesi europei non funziona?

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