Lavoro

Lavoro, la vita a ostacoli delle persone Lgbt+: una su 5 è offesa o calunniata

Lavoro, la vita a ostacoli delle persone Lgbt+: una su 5 è offesa o calunniata

Il caso Indagine Istat-Unar: oltre 20 mila le persone in unione civile o già in unione in Italia che dichiarano un orientamento omosessuale o bisessuale. Per il 26% il proprio orientamento ha rappresentato uno svantaggio.

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 25 marzo 2022

Calunniate, derise e resi oggetti di scherzi pesanti. Umiliate o prese a parolacce sul lavoro. E poi ci sono le offese sessuali. A prescindere dal tipo di occupazione, in Italia tra le persone Lgbt+ sono le donne a subirle più di frequente sul posto di lavoro mentre tra gli uomini è molto superiore la quota di quanti sono stati calunniati.

Una rilevazione Istat-Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali)) sulle discriminazioni lavorative pubblicata ieri ha evidenziato come il 23,1% degli intervistati siano stati minacciati, in forma verbale o scritta, e il 5,3% ha sostenuto di aver subito un’aggressione fisica, con incidenze più alte tra gli uomini.

Le donne hanno denunciato in misura maggiore degli uomini retribuzioni e mansioni inferiori, il rifiuto dei congedi, dei permessi parentali o promozioni. Gli uomini lavoratori dipendenti hanno segnalato con più frequenza il mancato rinnovo di contratti mentre tra gli ex-dipendenti è più diffuso il pre-pensionamento.

Nel 2020-2021 il 26% delle persone occupate o ex-occupate ha dichiarato che essere omosessuale o bisessuale ha rappresentato uno svantaggio nel corso della vita lavorativa in termini di avanzamenti di carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento delle proprie capacità professionali.

In sintesi: circa una persona Lgbt+ su cinque, occupata o ex-occupata in Italia, sostiene di aver vissuto un clima ostile o un’aggressione nel proprio ambiente di lavoro, con un’incidenza più elevata tra le donne (21,5% contro 20,4%), sia lesbiche che bisessuali, tra i giovani (26,7%), gli stranieri o apolidi (24,7%) e tra chi vive nel Mezzogiorno (22,6%).

Quasi la totalità degli intervistati ha sostenuto di aver sentito qualcuno definire una persona come« frocio» o usare in modo dispregiativo le espressioni «lesbic»a, «è da gay o simili» (oltre 9 su dieci).

Seppure in misura minore, è capitato «che le si chiedesse della sua vita sessuale» (38,7%). Gli uomini riportano con frequenza superiore la modalità «è capitato che i suoi modi di essere (gesticolare, parlare, vestire) venissero imitati per prendersi gioco di lei» (21,5% a fronte del 9,3% tra le donne) e «che si desse per scontata la sua disponibilità sessuale» (15,6% contro 10,2%).

Tra quanti hanno sostenuto di avere ricevuto un’offesa o di essere stati discriminati circa solo una persona su quattro ha intrapreso una azione legale, di conciliazione sindacale, ne ha parlato con i responsabili, ha chiesto che venissero presi provvedimenti nei confronti dei responsabili, ha cambiato lavoro/ufficio/mansioni o altro tipo di azione. Tutti gli altri hanno sostenuto di non essere stati messi in grado di rispondere, difendersi o affermare la propria dignità anche nei casi di meno visibili, ma ugualmente pesanti, episodi.

La rilevazione ha coinvolto oltre 21 mila persone residenti in Italia che, al primo gennaio 2020, risultavano in unione civile o già unite civilmente per scioglimento dell’unione o decesso del partner. Sono state considerate sia le unioni civili costituite sia le trascrizioni di unioni (o istituto analogo) all’estero. Tra quanti dichiarano un orientamento omosessuale o bisessuale, il 65,2 per cento e’ gay, il 28,9 per cento e’ rappresentato da lesbiche, il 4,2 per cento da donne bisessuali e l’1,7 per cento da uomini bisessuali .

Questo segmento di popolazione e’ caratterizzato da una quasi totalita’ di cittadini italiani, una chiara maggioranza di uomini (66,9 per cento), una quota rilevante di persone di età matura (il 43,6 per cento ha 50 anni e oltre) e una più diffusa concentrazione nel Nord del paese (61,2 per cento). Questi dati – ha precisato l’Istat – non possono essere considerati rappresentativi di tutte le persone omosessuali e bisessuali.

«Il traguardo delle unioni civili non può essere considerato completamente raggiunto finché la società non l’avrà metabolizzato» sostiene Gabriele Piazzoni (Arcigay).

«C’è ancora tanto da fare per superare i pregiudizi e per evitare che si creino forme di discriminazione diretta o indiretta» ha detto Manuela Macario (Arcigay) – Uno degli strumenti è la formazione a tutti i livelli, dai quadri dirigenti alla base».

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