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L’autonomia differenziata cala sul Congresso Pd

L’autonomia differenziata cala sul Congresso PdChiusura della campagna elettorale del Pd per la tornata del 25 settembre 2022 – LaPresse

Controriforme Da tempo i grandi interessi privati, a partire da quelli più legati al territorio, puntano a potenziare le Regioni e il loro ceto dirigente, politico ed amministrativo, perché più vicine e soprattutto perché esercitano il potere legislativo

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 17 dicembre 2022

La questione dell’autonomia differenziata (Ad) investe in profondità il Congresso del Pd perché apre una faglia non tanto tra “renziani” e “sinistra”, o tra Nord e Sud, ma soprattutto tra il pragmatismo governista dei Governatori e dei grandi Sindaci, teso a soddisfare i bisogni dei cittadini nella situazione data, e il tradizionale indirizzo democratico e laburista che oggi si confronta con la crisi del modello di sviluppo e della situazione complessiva.

Per meglio comprendere la relazione tra l’AD e questa dialettica congressuale conviene mettere in fila alcuni concetti chiave già emersi nel dibattito in corso. In tutte le Regioni e nei grandi Comuni si sono consolidati rapporti di potere tra politica, amministrazione ed affari, inquinati dall’uso sistematico del potere pubblico per favorire interessi privati e/o di parte.

Le cordate politiche del governo locale scambiano norme e risorse pubbliche con appoggi e voti, e nominano i vertici degli apparati, più o meno autonomi, che gestiscono appalti, assunzioni e attuazione delle norme svolgendo un ruolo di collegamento tra le cordate politiche e gli interessi privati, grandi e piccoli. I grandi interessi privati influenzano l’esercizio dei pubblici poteri a proprio vantaggio con strumenti di vario genere, leciti o illeciti.

Il peggioramento della crisi impone oggi a questi interessi di aumentare la pressione sui poteri pubblici fino ad assumerne il controllo e determinarne le scelte. I poteri pubblici sono nelle mani dei partiti, perciò la pressione investe anche questi, direttamente o indirettamente, attraverso le molte reti, pubbliche o riservate, che collegano le aree della finanza, della politica, della cultura, dell’amministrazione. E che indirizzano l’opinione pubblica attraverso il controllo dei grandi media.

Da tempo i grandi interessi privati, a partire da quelli più legati al territorio, puntano a potenziare le Regioni e il loro ceto dirigente, politico ed amministrativo, perché più vicine e soprattutto perché esercitano il potere legislativo, che qualifica gli interessi individuali e collettivi come diritti, imponendo ai contro-interessati il dovere di rispettarli e dando alle Amministrazioni il potere di farli rispettare. L’AD consente di espandere il potere normativo ed amministrativo delle Regioni a tutte le materie a competenza concorrente ex art. 117, 3°c., della Carta, più l’istruzione e l’ambiente, ovvero quasi tutte le funzioni relative alla vita delle persone tranne le funzioni autoritative e quelle macroeconomiche, spettanti allo Stato e alla Ue.

È questa la dinamica sottostante al “federalismo” leghista e all’Ad, rivendicata dalle Regioni del Nord compresa l’Emilia Romagna del Pd. Perché il Pd oggi è soprattutto l’insieme delle strutture del potere politico-amministrativo a livello regionale e locale, che nei rispettivi territori – se al governo – controllano gli organi dirigenti del partito e che, a livello nazionale, si collegano alle correnti e ai capicorrente nazionali. Ovvero alle strutture di potere del livello nazionale, sempre più deboli, perché le grandi scelte si fanno altrove e nei governi di coalizione si pesa poco.

Il Segretario e i capicorrente scelgono parlamentari e ministri, e i vertici amministrativi di competenza, senza incidere molto sulle politiche. La politica si fa con la comunicazione e l’elaborazione delle narrazioni per motivare idealmente la base del partito ed anche l’elettorato, coi risultati che si vedono. Oggi, con la sconfitta elettorale e il passaggio all’opposizione la struttura del potere nazionale perde ulteriormente forza, e le strutture del potere regionale puntano ad assumere direttamente la guida del partito emancipandosi dalle correnti organizzate. Questa tendenza corrisponde e si connette all’affermazione dell’AD nelle Regioni rispetto allo Stato nazionale.

La candidatura di Bonaccini esprime questo doppio processo, col sostegno anche dei Governatori del Sud. Le contraddizioni di questi relativamente all’AD, tra la perdita di risorse economiche e l’acquisto di un maggiore potere normativo, così come i timori di una parte della base PD sull’estensione delle materie cedute alle Regioni, vengono risolte da Bonaccini con una linea di compromesso sulle materie (ad es. la scuola) e sulla individuazione preventiva dei livelli essenziali di prestazione, per evitare un aumento delle disuguaglianze. Compromessi problematici da realizzare, ma la cui narrazione può ben reggere fino al congresso. Quanto alla Schlein, per ora non parla di AD ma è difficile che possa assumere una posizione diversa da Bonaccini, visto il loro rapporto istituzionale al vertice della Regione Emilia Romagna.

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