L’aspettativa di vita in versione austerità ci ha già rubato 6 mesi
In pensione mai La norma della Fornero sull’adeguamento dell’età pensionabile: ogni aumento si scarica in toto sul periodo di lavoro. È illogico. Dal 2013 a oggi 12 mesi di incrementi. Ma l’esistenza solo per metà è vissuta da occupati
In pensione mai La norma della Fornero sull’adeguamento dell’età pensionabile: ogni aumento si scarica in toto sul periodo di lavoro. È illogico. Dal 2013 a oggi 12 mesi di incrementi. Ma l’esistenza solo per metà è vissuta da occupati
In attesa che fra qualche mese arrivi il suo Report sui sistemi pensionistici, qualche giorno fa la Bce ha rinnovato il suo diktat. Rilanciando l’allarme sui costi sociali dell’invecchiamento della popolazione del – non a caso – vecchio continente, lunedì scorso ha scritto: «L’aumento dell’età di pensionamento può ridimensionare gli effetti macroeconomici negativi dell’invecchiamento.
Abbassare l’importo delle pensioni, invece, può «contrastare in misura molto limitata tali effetti macroeconomici». Traducendo dalla lingua dell’austerità significa: no a interventi che puntino su una maggiore flessibilità in uscita in cambio di un calcolo meno favorevole dell’assegno previdenziale (il mitico Ape renziano che è già un flop); sì invece ad aumenti dell’età del ritiro: si risparmiano molti più soldi pubblici.
IL FULCRO SU CUI RUOTA TUTTA l’austerità imposta sul capitolo previdenza è l’adeguamento all’aspettativa di vita. Si tratta di un concetto intuitivo – si vive di più dunque bisogna lavorare più a lungo – che però è stato inculcato in modo subdolo portandosi dietro falsi postulati che niente hanno a che fare con la demografia e dagli esisti nefasti. L’aumento dell’aspettativa di vita – un fatto innegabilmente positivo, sebbene nel 2017 in Italia la corsa si sia arrestata molto probabilmente per il peggioramento del nostro sistema sanitario dovuto proprio ai tagli imposti dalla stessa austerità – è un meccanismo infernale e perfino illogico.
Come dimostreremo ci ha già rubato sei mesi di lavoro in più in soli 5 anni, senza alcuna spiegazione plausibile. Con la certezza di continuare a rubarceli all’infinito, soprattutto ai giovani.
[do action=”citazione”]La Ragioneria ha ammesso: in nessun paese europeo è così. I giovani i più colpiti[/do]
NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA l’adeguamento all’aspettativa di vita è stato introdotto dal governo di centrodestra nel 2010 con ministro del Welfare Maurizio Sacconi. Dopo solo un anno dalla riforma del centrodestra, la Fornero ha previsto una brusca accelerazione: dal 2012 gli scatti avvengono ogni due anni e non ogni tre anni. Un’accelerazione che ha già avuto e – soprattutto – avrà effetti più grandi di tutti gli altri cambiamenti presenti nella riforma. Primo dei quali fissare già l’età pensionabile per chi lascerà il lavoro dopo il 2040 – quarantenni odierni inclusi – a 70 anni.
Il primo adeguamento è arrivato nel 2013 ed è stato pari a 3 mesi mentre il secondo ha avuto luogo nel 2016 ed è stato pari a 4 mesi. Il prossimo avverrà il primo gennaio 2019 e sarà pari a 5 mesi. In totale siamo già a dodici mesi in più in soli 5 anni.
I prossimi scatti sono già definiti: 2021, 2023, 2025 e così via con aumenti stimati in circa 2-3 mesi a biennio.
IL 24 OTTOBRE SCORSO è arrivato il verdetto dell’istituto nazionale di statistica: nel suo annuale studio «Indicatori di mortalità della popolazione residente» per il 2016 è contenuto il computo utilizzato per le pensioni – l’aspettativa di vita a 65 anni che arriva a 20,7 anni per il totale dei residenti, allungandosi di cinque mesi rispetto a quella registrata nel 2013. Raggiungendo i 67 anni per la pensione di vecchiaia a prescindere dal sesso, mentre per le pensioni anticipate (ex-anzianità) si arriva a 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e tre mesi per le donne.
Nel rapporto su «Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario» redatto dai custodi dell’austerità in Italia – la Ragioneria generale – qualche mese fa alle pagine 70 e 71 si legge: «Alcuni paesi, come Svezia, Germania, Finlandia, Portogallo, Spagna hanno introdotto meccanismi di adeguamento automatico rispetto alle variazioni della speranza di vita. Altri ancora, come Danimarca e Grecia, hanno previsto meccanismi di adeguamento in funzione dell’allungamento della sopravvivenza. In tale contesto – ecco la rivelazione – l’Italia si contraddistingue in quanto gli automatismi sono entrambi vigenti e operano in modo coordinato». Insomma, abbiamo le regole più ferree ma la Bce ci impone di non cambiarle.
[do action=”citazione”]Dal 2013 a oggi 12 mesi di incrementi. Ma l’esistenza solo per metà è vissuta da occupati[/do]
L’ADEGUAMENTO DELL’ETA’ pensionabile all’aspettativa di vita già da anni ha regalato all’Italia un primato poco invidiabile: in Europa abbiamo l’età più tardiva di ritiro dal lavoro. Mediamente nei paesi dell’Unione europea gli uomini vanno in pensione a 64 anni e 4 mesi, le donne a 63 anni e 4 mesi. In pratica dal 2019 con lo scatto a 67 anni gli uomini italiani ci andranno e 2 anni e 8 mesi dopo, le donne 3 anni e 8 mesi, raggiungendo il primato detenuto – non a caso – dalla Grecia, passata sotto le cure della troika. A conferma dell’unicità dell’austerità europea, nel resto del mondo le età di pensionamento sono quasi ovunque più basse.
IL MECCANISMO di adeguamento automatico delle età pensionabili è ridefinito periodicamente proprio in rapporto alla speranza di vita residua per coloro che hanno 65 anni, rilevata dall’Istat e basata in rapporto al triennio precedente.
UNA LEGGE TRA LE PIÙ LIBERISTE della storia visto che la Fornero prevedeva addirittura che l’adeguamento fosse solo al rialzo. Non a calare. Per fortuna l’ultima legge di bilancio ha modificato norma permettendo – sebbene con molte condizioni – una diminuzione in caso di calo dell’aspettativa di vita.
L’INGANNO ILLOGICO del meccanismo è da smontare al più presto. L’idea che ogni mese di incremento dell’aspettativa di vita sia totalmente trasferito sull’età pensionabile è una assoluta bestemmia.
È elementare comprendere come la nostra esistenza non è fatta solo del periodo di lavoro: arriviamo al lavoro dopo la formazione (sopra i 20 anni) e ci ritiriamo (se riusciamo a raggiungerere l’età) godendo la pensione in media per oltre 20 anni.
Se l’aspettativa di vita è di 83 anni e ce ne chiedono di lavorare 43, allora la proporzione è circa la metà. Dunque – prendendo ad esempio l’ultimo scatto – se l’innalzamento dell’aspettativa di vita è di 5 mesi, all’età pensionabile al massimo ne andavano applicati solo 2,5.
E così per tutti gli scatti già fatti: in questo modo l’età pensionabile sarebbe già inferiore di sei mesi rispetto all’anno intero di innalzamento già prodotto dalla Fornero.
CHISSÀ CHE IL PROSSIMO governo non riesca a metterci mano. Partendo magari dalla commissione mista Istat sindacati che l’ultima legge di bilancio ha pianificato per rimettere mano all’intero meccanismo e che – nonostante le proteste di Cgil, Cisl e Uil – non è ancora stata convocata.
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