L’arte, la censura e il massacro coreano
Maboroshi Polemiche sulla decisione del governo metropolitano di Tokyo di vietare la proiezione di un video che affronta la tematica, ancora scottante, del terribile eccidio del 1923
Maboroshi Polemiche sulla decisione del governo metropolitano di Tokyo di vietare la proiezione di un video che affronta la tematica, ancora scottante, del terribile eccidio del 1923
«Il governo della metropolitana ha censurato il film, penso sia un problema serio» ha dichiarato alla stampa giapponese Yuki Iiyama nelle scorse settimane, durante una conferenza stampa tenuta per denunciare l’accaduto. Iiyama è un’artista che in collaborazione con un membro della sua famiglia, affetto da disturbi mentali, ha realizzato una serie di opere, per la maggior parte cortometraggi video e fotografie, esposte fino a fine mese nella capitale. Le parole della donna si riferiscono alla decisione del governo metropolitano di Tokyo di vietare la proiezione di un video che affronta la tematica, ancora scottante, nonostante siamo a quasi cento anni dall’accaduto, del massacro dei coreani residenti in Giappone, all’indomani del Grande Terremoto del Kanto del 1923. Da quanto dichiarato dall’artista stessa e dagli organizzatori dell’evento, «n-Mates» è un cortometraggio di poco meno di mezz’ora che doveva essere proiettato in una mostra dedicata ai diritti umani delle persone affette da disturbi mentali, intitolata «We walk and talk to search your true home», attualmente in corso presso la Tokyo Metropolitan Human Rights Plaza.
IL BREVE FILM ritrarrebbe la situazione di alcuni pazienti coreani ricoverati in un reparto psichiatrico prima della Seconda Guerra Mondiale e fra i temi trattati ci sarebbe anche quello del massacro avvenuto nel 1923. Dal primo settembre di quell’anno infatti, dopo che un violentissimo terremoto distrusse la metropoli e causò più di centomila vittime, si scatenò una sorta di paranoica caccia al diverso, sia esso coreano residente in Giappone o membro di altre minoranze, anche politiche. Con il beneplacito della polizia che lasciò fare e con il sostegno dell’esercito imperiale, per circa tre settimane, dei gruppi di vigilanti uccisero coreani, cinesi e chiunque parlasse una lingua diversa da quella usata a Tokyo, tanto che furono ammazzati anche giapponesi originari di altre zone dell’arcipelago.
Secondo quanto dichiarato dagli organizzatori, una scena del cortometraggio censurato mostrerebbe il rapper coreano di seconda o terza generazione FUNI che canta “uccidi i coreani”. Iiyama è convinta che la decisione sia stata fortemente influenzata dall’attuale governatore di Tokyo, Yuriko Koike, che si è sempre rifiutata di inviare elogi funebri alla cerimonia annuale di commemorazione delle vittime coreane del Grande Terremoto del Kanto, comprese quelle massacrate dopo il disastro.
L’ATTEGGIAMENTO di censura da parte delle istituzioni si inserisce in un clima che oramai da parecchi decenni cerca di minimizzare quanto successo dopo il devastante terremoto del 1923. Ma è anche un modo di operare da parte delle istituzioni giapponesi che cerca di evitare il conflitto, o lo scambio di opinioni, soprattutto quando sono diverse, a tutti i costi. Spesso l’arte viene concepita, non è generalizzabile naturalmente in quanto esistono molti esempi che vanno in senso contrario, come orpello e cosa bella da vedere, ma non come un qualcosa che critichi lo status quo, o anche che solo provi ad instaurare un dibattito su temi complessi e meritevoli di discussione. Uno degli esempi più eclatanti degli ultimi anni successe alla Triennale di Aichi nel 2019, quando una statua che rappresentava una comfort women, le donne coreane costrette a prostituirsi per l’esercito imperiale giapponese durante il periodo bellico, scatenò un putiferio. Da una parte, politici locali e nazionali condannarono l’opera e la scelta di esporla, dall’altra, la censura dell’opera che non fu esposta, causò il ritiro di molti artisti, giapponesi e non, dall’evento.
matteo.boscarol@gmail.com
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