Economia

L’Ape punge solo i lavoratori. E per i giovani non c’è niente

L’Ape punge solo i lavoratori. E per i giovani non c’è nienteUn lavoratore ultrasessantenne alla catena di montaggio

Pensioni Pensionandi beffati. Un milione di persone aspetta da 5 mesi il decreto: intanto i tassi sono aumentati del 30 per cento. Per 3 anni di anticipo assegno decurtato del 20%. Anche il Rita per i giovani è un prestito per pochi

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 30 agosto 2017

Il paradosso delle pensioni. Si dice che si preferisce aiutare i giovani e non lo si fa. Si dice che gli anziani sono già stati aiutati e invece nemmeno i provvedimenti dello scorso anno sono ancora pronti.
A MEZZOGIORNO al ministero del Lavoro di via Veneto governo e sindacati si ritrovano per la cosiddetta «Fase due» della trattativa sulle pensioni. Lo scorso anno proprio in questi giorni si definirono i provvedimenti sulla flessibilità in uscita, il solito accrocchio di acronimi renziani: Ape Social, Ape volontaria, Rita. Oggi si dovrebbero decidere i provvedimenti per migliorare le prospettive previdenziali dei giovani che andranno in pensione interamente col metodo contributivo e con 10 anni di crisi economica sulle spalle.
IL NEGOZIATO PARTE già fortemente condizionato: il viceministro all’Economia – il secondo massimo responsabile della legge di bilancio – ha già sentenziato: «Sarebbe un errore scegliere ora come priorità la previdenza, abbiamo varato un intervento molto significativo l’anno scorso», mettendosi di traverso rispetto alla principale proposta dei sindacati – appoggiata da un’asse bipartisan in Parlamento – lo stop all’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita che ad ottobre l’Istat certificherà portando ad un salto di 5 mesi dal primo gennaio 2019: da 66 anni e 7 mesi a 67 anni tondi, facendo dell’Italia il Paese europeo con l’età più alta, seconda solo alla Grecia.
MA A CONFUTARE l’affermazione del viceministro c’è anche il vergognoso ritardo nel decreto attuativo dell’Ape volontaria. Se la versione «Social» che garantisce la pensione anticipata alle categorie meno protette viene considerata un successo per le 66mila domande presentate entro la scadenza del 15 luglio, la platea potenziale dell’Ape volontaria – che consetirebbe a chi ha 63 anni di lasciare il lavoro con 3 anni e 7 mesi di anticipo – è stimata in oltre 1 milione di persone. Milione di persone che aspettano da marzo il decreto che fissi i criteri (e i costi) del provvedimento.
IL DECRETO che per stessa ammissione dei dirigenti del ministero del Lavoro «è stato scritto con i piedi dai consulenti renziani di palazzo Chigi» ha già cinque mesi di ritardo ma nemmeno le promesse di pubblicarlo in Gazzetta Ufficiale «entro l’estate» fatta dal consigliere di palazzo Chigi Marco Leonardi rischia di essere ulteriormente disattesa per i ritardi burocratici nel passaggio per aggiustare i rilievi fatti dal Consiglio di Stato.
QUESTI RITARDI però si portano dietro un prezzo molto alto. Che pagheranno i pensionandi. Se Renzi e i suoi collaboratori a marzo fissavano i costi dell’anticipo al 2,5 per cento l’anno – l’Ape volontaria è infatti un prestito bancario che i lavoratori dovranno ripagare in 20 anni – ora i tassi si sono alzati e vengono già stimati al 3,5 per cento, un aumento del 30 per cento. Inoltre questa stima non tiene conto del costo dell’assicurazione che va stipulata per tutelare la banca e gli eredi dal rischio che il sottoscrittore muoia prima di aver saldato il debito (rischio di premorienza). Banche e assicurazioni infatti non si sono fatte sfuggire la possibilità di lucrare sui ritardi: prima di stipulare le convenzioni col governo e fissare i tassi di riferimento iniziali hanno imposto di attendere la pubblicazione del decreto. Tassi che nel frattempo sono aumentati.
IL TUTTO PORTA a prevedere che l’Ape volontaria sarà un flop totale: già era molto costosa, ora è quasi proibitiva. Per chi ha 63 anni l’assegno rischia di essere decurtato quasi del 20 per cento. Una quota che si potranno permettere solo i ricchi.
E DUNQUE PER I GIOVANI cosa rimane? La proposta di una pensione di garanzia già contenuta nel memorandum sottoscritto l’anno scorso non si tramuterà in versamenti figurativi o – meglio ancora – nel versamento di contributi ex post che aumenteranno gli assegni di chi andrà in pensione a 70 anni col sistema contributivo dopo una carriera precaria, ma rischia di limitarsi all’estensione dell’ennesimo acronimo beffa: il Rita, Rendita integrativa temporanea anticipata. Una norma già presente nella legge di bilancio 2016 che prevede la possibilità di ottenere un anticipo sui versamenti fatti al fondo di previdenza complementare. Versamenti che ben pochi precari fanno e che snatura lo strumento stesso della previdenza complementare.

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