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L’antisemitismo tra ideologia e censura

L’antisemitismo tra ideologia e censuraManifestanti pro-Palestina rimossi dalla polizia danese a Copenaghen foto Ida Marie Odgaard/Ansa

Tremenda vendetta Il peggior veleno circolato nella storia piegato a grossolana propaganda

Pubblicato un giorno faEdizione del 5 ottobre 2024

Il 27 settembre al palazzo di vetro di New York Beniamin Netanyahu accusava le Nazioni unite, dal cui podio stava parlando all’assemblea, di essere «una palude antisemita». È forse l’esempio più illuminante e diretto del ricorso dissennato e strumentale a questo epiteto per diffamare qualunque presa di posizione critica nei confronti della politica israeliana in Medio oriente e di condanna delle modalità di conduzione della guerra contro Hamas a Gaza e Hezbollah in Libano.

Così la drammatica storia di una persecuzione secolare, il peggior veleno mai circolato nelle vene dell’Occidente «civilizzato», viene ridotto a una grossolana espressione della propaganda di guerra e a uno strumento di pura e semplice censura. Se davvero, come l’accusa di Netanyahu sottintende, la maggior parte delle nazioni nutrisse sentimenti antisemiti e il segretario generale delle Nazioni unite se ne facesse interprete, cosa aspetta il governo israeliano a uscire dall’Onu? Per non abbassare la guardia contro le insorgenze antisemite laddove effettivamente si manifestano converrà guardarsi dagli abusi e dalle strumentalizzazioni cui l’accusa di antisemitismo viene piegata, svuotata del suo significato più proprio e indebolita dall’estensione arbitraria che le è imposta. Sempre più asservita a una ideologia di stato e alla sua pretesa di verità.

NELLE MANIFESTAZIONI che i governi occidentali alleati di Israele si sentono in dovere di reprimere in quanto espressione di posizioni antiebraiche è assai raro trovar traccia di quelle forme classiche della mentalità e dei comportamenti antisemiti che hanno avvelenato la storia europea, preparato e accompagnato l’orrore del nazionalsocialismo. L’antisemitismo è un fenomeno che ha preso forma nei confronti della diaspora ed è in quel contesto che ha dispiegato tutta la ferocia di cui era capace. Non è immediatamente applicabile a una entità statale e al suo agire politico, che è poi l’attuale bersaglio dei movimenti filopalestinesi. Eppure si riversa come un anatema su chiunque metta in questione la legittimità dell’entità statale israeliana nella forma in cui si è storicamente consolidata e si riproduce. Per quanto si possa dissentire da queste posizioni antiisraeliane, a rigor di logica non vi è ragione alcuna di ritenerle espressione di una ideologia antisemita.

ANCOR MENO possono esserlo il rifiuto di scellerate scelte politico-militari e la denuncia delle loro sanguinose conseguenze. E quando, come indubbiamente accade, sentimenti antisemiti effettivamente le attraversano, è soprattutto per effetto di quel fanatismo di matrice religiosa, stretto alleato del nazionalismo, che su entrambi i fronti si è affermato predicando una «inimicizia assoluta» e spianando così la strada a un esercizio della violenza illimitato quanto il volere di Dio. Vi è però anche un insidioso sillogismo che estende l’ostilità verso lo stato di Israele all’insieme delle comunità ebraiche nel mondo.

A Francoforte, una protesta in sostegno a Gaza viene bloccata dalla polizia tedesca foto di Andreas Arnold/Ap

Esso presuppone che queste ultime si identifichino esistenzialmente non solo con lo stato ebraico e il suo diritto alla sicurezza ma anche, sempre e comunque, con ogni sua scelta politica e militare, compreso il massacro della popolazione civile palestinese. E ne condividano dunque la responsabilità. Si tratta di una falsità, questa si implicitamente antisemita, e di una mistificazione smentita dalla composizione stessa del movimento per la pace e in difesa dei diritti palestinesi, nonché dalla storia dei conflitti e delle contraddizioni che hanno sempre attraversato Israele e le comunità ebraiche in Europa e negli Stati uniti. Tuttavia anche in Israele l’estensione all’intera popolazione palestinese della responsabilità per le azioni commesse da Hamas, compreso il feroce pogrom del 7 ottobre, ha numerosi fautori a cominciare dai ministri di estrema destra, decisivi per tenere in piedi il governo di Netanyahu, che negano l’esistenza stessa di civili a Gaza.

LE AGGHIACCIANTI esternazioni del ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich dello scorso agosto esprimono nella maniera più diretta ed efferata una ostilità e una volontà di annientamento che si riversano sulla popolazione palestinese nel suo insieme. Smotrich dichiarò allora che Israele non poteva evitare di far giungere aiuti alla stremata popolazione civile di Gaza per via dell’opinione pubblica mondiale e delle pressioni internazionali. Ma che sarebbe stato «legittimo e perfino morale» impedirlo, anche se questo avesse comportato la morte per fame e malattie di un paio di milioni di persone.

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Un anno di guerra

Una sincera ammissione in perfetto stile Pol Pot, tanto per discostarsi dai più abusati termini di paragone con i fascismi degli anni Trenta. In un mondo in cui ogni parola, ogni cartello, sciarpa o bandiera vengono passati al setaccio del dicibile e dell’indicibile, affermazioni come questa dovrebbero portare a una censura non priva di conseguenze del governo che conta nei suoi ranghi un simile propagandista del genocidio.

A FIANCO dell’antisemitismo reale, talvolta solo sussurrato (e spesso accompagnato da ammirazione per la politica muscolare di Israele), talaltra posto al centro delle teorie complottiste, sempre implicito in ogni ideologia razziale e in quella ossessione della purezza che impregna le destre più radicali, esiste un antisemitismo presunto che svolge esclusivamente una funzione di censura.

Il sofisma che lo sottende funziona più o meno così: poiché ogni azione del governo israeliano ha come unico scopo l’autoconservazione e la sicurezza di Israele, ad ogni costo e con ogni mezzo, allora qualunque contestazione di questi costi e di questi mezzi (perfino quando dovessero rivelarsi controproducenti) comporta la negazione dello stato ebraico e dunque una posizione antisemita. Beninteso, vi sono azioni di Hamas e Hezbollah che, pur ben lungi dal minacciarne l’esistenza, con la sicurezza di Israele hanno certamente a che vedere. Altre, come la moltiplicazione delle colonie armate nei territori palestinesi, che rispondono invece a una volontà di supremazia e prevaricazione.

Ma evidente è la sproporzione tra la minaccia subita e la rappresaglia inflitta, ed è proprio a questa sproporzione e al terrore che riesce a incutere, che lo stato israeliano affida la sua esistenza (e la sua supremazia regionale) in una eterna condizione di guerra. Per questo non può essere nominata e chi la denuncia sarà immancabilmente dichiarato antisemita.

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