Carlo è mio. Andato via Calenda, che aveva detto che sarebbe stato Carlo Cottarelli a scrivergli il programma elettorale, Enrico Letta ha intensificato il pressing sull’economista ex commissario alla spending review. In fondo era stato proprio lui, l’attuale segretario del Pd, nove anni fa, quando ancora (per poco) si trovava a palazzo Chigi, a riportare in Italia dal Fondo monetario internazionale Cottarelli, da allora una presenza fissa delle cronache politiche, si tratti di offrire ricette nei talk show, di rispondere a una chiamata del Quirinale per un governo tecnico o di organizzare una cordata per comprare l’Inter.

Stavolta Cottarelli, che oltre al programma di Calenda si era già impegnato a scrivere quello di +Europa e dell’associazione di Mara Carfagna, farà invece il candidato al parlamento. Per lui il Pd ha pronto un collegio uninominale e anche il paracadute proporzionale, un trattamento principesco in tempi di posti scarsi. «Sarà la nostra punta di diamante al nord», ha detto ieri Letta, che ha «regalato» la presentazione agli alleati di +Europa, andando a fare la conferenza stampa nella sede del partito di Bonino, Della Vedova e Magi. «Cottarelli è un dato di ulteriore e reale serietà rispetto al nostro accordo politico sulla prosecuzione dell’agenda Draghi», ha garantito Bonino.

Se non c’è contraddizione, come ha assicurato Letta, tra il posto d’onore al neo liberista Cottarelli e l’accordo con Sinistra italiana e Verdi, è solo perché «con loro abbiamo stabilito un’intesa limitata ad alcune questioni e obiettivi». Il programma, insomma, quello che Bonino chiama ancora «agenda Draghi», resta quello concordato con Calenda anche se Calenda se n’è andato. Ma un Carlo non vale l’altro. Ora Letta è più sereno perché «con +Europa la sintonia è naturale e la campagna elettorale non sarebbe stata un’ansia quotidiana come credo sarebbe stata se le cose fossero andate in un altro modo».

Calenda fa buon viso a cattivo gioco e fa comunque gli auguri a Cottarelli, il quale mostra l’identico savoir-faire e una non diversa collocazione politica, ricambiando così: «Grazie, gli ultimi giorni sono stati un po’… burrascosi, ma l’importante ora è guardare in avanti e smettere i litigi in un’area comunque progressista. Gli avversari politici sono altri». Ma è proprio il fatto che Pd e «Terzo polo» passino il tempo a rubarsi figurine eccellenti e intercambiabili a dimostrare che la sfida la intendono sullo stesso terreno e sugli stessi voti, alla destra va bene così.

A Meloni ha dedicato un pensiero maldestro durante la conferenza stampa proprio Letta: «È evidente che sta cercando di riposizionarsi, di cambiare immagine, di incipriarsi, però mi sembra una operazione abbastanza complicata quando il punto di riferimento è Orban. Il discorso che fece in Spagna per la candidata di Vox è lì ed è un’altra storia…». Facile per la presidente di Fratelli d’Italia replicare parlando di «misoginia» per «una frase che tradisce l’idea secondo la quale la donna dovrebbe essere attenta solo a trucchi e borsette». E già che c’è, Meloni diffonde un video alla stampa estera per continuare nell’operazione rassicurazione: «Svolta autoritaria, uscita dall’euro, fondi del Pnrr a rischio, tutte sciocchezze ispirate dal potente circuito mediatico della sinistra».

Ma proprio ieri, durante la cerimonia per ricordare l’eccidio fascista di piazzale Loreto del 1944 a Milano, il figlio di uno di quei quindici martiri ha detto dal palco: «Inorridisco pensando che 100 anni dopo la marcia su Roma gli eredi del fascismo possono prendersi palazzo Chigi e mettere mano alla Costituzione». Parole dalle quali ha preso le distanze anche il presidente milanese dell’Anpi Cenati: «La cerimonia aveva lo scopo di ricordare i martiri, ogni altra considerazione non c’entrava niente». Ma alle quali Meloni ha replicato nel suo solito modo, con un «ma anche» che tiene tutto insieme: «La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti ebraiche e ovviamente anche nazismo e comunismo, l’unica delle ideologie totalitarie del ventesimo secolo che sopravvive e la sinistra fatica a condannare». Intanto la fiamma che arde sulla bara di Mussolini è sempre lì nel simbolo di Fratelli d’Italia.