L’annuncio della mobilitazione parziale ha spinto migliaia di russi verso le frontiere dei paesi confinanti ex-sovietici. Ad essere interessati sono in primo luogo Georgia e Kazakistan, stati che non richiedono il visto in entrata per i cittadini della Federazione russa.

La frontiera russo-georgiana ha un solo punto di passaggio, Verkhnij Lars-Kazbeg, il quale serve anche quale via di collegamento fra Russia e Armenia. Il valico è usualmente intasato da sud, ma ieri code di diverse migliaia di auto si sono formate anche dal lato russo. Il passaggio può richiedere anche 24 ore. La polizia stradale di Vladikavkaz, il principale centro logistico del Caucaso russo, capitale della Repubblica del Nord Ossezia-Alania, ha iniziato a regolamentare i movimenti verso il confine con la Georgia, motivando le limitazioni con la congestione sull’unica strada di collegamento. La Georgia rimane una delle alternative più semplici per i russi renitenti alla leva, che possono trascorrere fino a un anno sul suo territorio.

L’afflusso dei russi riaccende la già volatile ed estremamente polarizzata scena politica georgiana. Il partito al governo, “Sogno georgiano”, minimizza e accusa l’opposizione pro-occidentale di cavalcare la situazione a fini politici. L’affluenza di cittadini russi è in corso sin dallo scoppio della guerra a febbraio ma il governo considera la cosa sotto controllo – a marzo i dati ufficiali parlavano di 12mila russi residenti, mentre l’opposizione avanza la cifra di 300mila.

Gli oppositori considerano che fra coloro in entrata potrebbero esservi agenti «di uno stato ostile», e chiedono un inasprimento delle normative sui visti e la registrazione dei russi in entrata. La polemica ricalca le accuse contro “Sogno georgiano” di non fare abbastanza a sostegno dell’Ucraina, a cui il partito al governo controbatte accusando l’opposizione di irresponsabilità e di voler trascinare il paese in un’altra guerra contro Mosca.

Stessi scenari di code in uscita sono visibili lungo la frontiera fra Russia e Kazakistan. Qui tuttavia la situazione sta in altri termini dal punto di vista logistico. Si tratta del più lungo confine terrestre del mondo (7.500 km), servito da trenta valichi e per il resto in larga parte “trasparente”. Sul lato kazakistano vivono in maggioranza comunità di etnia russa. L’afflusso è dunque causa di ansia per le autorità di Astana.

Il Kazakistan è membro con la Russia dell’Unione economica eurasiatica (Ueea), in cui vige la libera circolazione dei cittadini così che i russi possono entrare con le sole carte d’identità. Astana non può quindi impedire ai russi in fuga l’entrata ma si è premunita di ricordare le regole per la permanenza dei cittadini stranieri sul proprio territorio, che non deve eccedere i 90 giorni. Il governo ha anche precisato che i russi in arrivo non potranno ottenere un permesso di residenza se sprovvisti di documentazione delle autorità russe attestante la loro posizione nei confronti del decreto di mobilitazione parziale. In una coincidenza molto significativa, mercoledì, giorno dell’annuncio della mobilitazione da parte di Putin, Astana ha iniziato esercitazioni militari in prossimità del confine con la Russia.

La nuova situazione sta avendo contraccolpi anche in altre repubbliche dell’Asia centrale. In Uzbekistan, il sistema bancario ha annunciato che le carte di credito russe Mir non sono servite «per motivi tecnici» mentre la direzione dei musulmani dell’Uzbekistan ha pubblicato una fatwa dove si proibisce ai fedeli di prendere parte alla guerra in Ucraina. Del pari, l’Ambasciata del vicino Kirghizistan a Mosca ha messo in guardia i propri cittadini dalla partecipazione a operazioni militari in altri eserciti.