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L’affaire Polanski e la protesta alla Cinémathèque

L’affaire Polanski e la protesta alla Cinémathèque

Parigi L’istituzione francese accusata di «vivere in una bolla» di maschilismo, e si chiede l’estradizione del regista

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 1 novembre 2017

«Sono molto felice di essere qui, di mostrare tutti i miei film. Dei film che, spero, resteranno nel tempo », ha detto ieri Roman Polanski all’inaugurazione della retrospettiva dedicatagli dalla Cinémathèque Française. Fuori intanto un centinaio di persone manifestavano contro l’evento con le parole d’ordine «Resistenza» – a una cultura che avalla, secondo i manifestanti, la violenza sessuale commessa da Polanski – ed «Estradizione»: quella che gli Stati Uniti chiedono dalla fuga del regista nel ’77.

Polanski, cittadino francese dal ’75, lasciò infatti il Paese per timore che il giudice assegnato al suo caso annullasse l’accordo fatto dal regista con la pubblica accusa per «rapporti sessuali illegali» con la tredicenne Samantha Geimer, e lo condannasse a molti anni di carcere.
«Personalmente non sostengo la censura della sua opera» ha detto ai microfoni di Europe1 una delle organizzatrici della manifestazione, Laure Salmona, anche autrice di una petizione che chiedeva però l’annullamento tout court della retrospettiva. È l’uomo, dice, che va boicottato: «Basterebbe non invitarlo, che la promozione del suo film la facessero gli attori e non lui, basterebbe, appunto, boicottarlo». Non sembra invece dello stesso parere una delle portavoce di Osez le feminisme intervistata da «Le Monde»: «Noi non crediamo alla distinzione fra l’uomo e l’artista rivendicata dalla Cinematheque».

Gli spettatori accorsi a vedere l’ultimo film di Polanski (D’apres une histoire vraie) in sua presenza sono stati accolti dai manifestanti al grido di «complici», e il regista è stato contestato anche dalle militanti del collettivo Femen che al suo arrivo hanno lanciato i reggiseni urlando: «Reggiseni d’onore per il violentatore». Si è continuato a insistere sul «cattivo tempismo» della retrospettiva in pieno Weinstein-gate, e mentre al regista polacco è stata rivolta una nuova accusa di stupro – la quinta – in un clima generale «post Weinstein» in cui per l’appunto accuse e sentenze sembrano coincidere.

Contattata dal «manifesto» per una dichiarazione, la direzione della Cinémathèque rifiuta però di commentare la protesta e le accuse rivolte all’istituzione stessa di «vivere in una bolla», in cui «l’89% delle sue retrospettive sono rivolte a cineasti uomini».
Attraverso le parole del presidente Costa-Gavras alla serata di apertura dell’evento, la Cinémathèque si è limitata a ribadire quanto già scritto mercoledì scorso in un comunicato: «Dal 1974 Polanski vive e lavora a Parigi e la sua presenza è fonte di orgoglio per l’intero cinema francese. Siamo convinti che i film di Polanski siano più che mai indispensabili alla nostra comprensione del mondo e del cinema. Non è mai stato in discussione neanche un secondo rinunciare a questa retrospettiva sotto la pressione di circostanze estranee alla Cinémathèque come a Polanski fra le più ambigue e offensive».

Nel suo discorso al pubblico prima della proiezione Roman Polanski si è detto felice perché suoi film sono destinati a una lunga vita: «Lo scopo della Cinémathèque è conservare i film, se possibile per l’eternità. In altri tempi, avrebbero potuto essere bruciati, come Hitler ha fatto con i libri. Inizialmente le copie dei film erano su nitrato, che bruciava davvero bene: ricordo che quando ero giovane ne facevamo delle bombe. Oggi i film vengono conservati grazie a dei numeri, e per questo i miei lavori potranno durare nel tempo nonostante la baraonda».

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