Mentre continuano le eruzioni vulcaniche nella penisola del Reykjanes, dove si trova la capitale e il principale aeroporto dell’isola, 268 mila cittadine e cittadini oggi in Islanda sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo o la nuova presidente della Repubblica.

L’Islanda è, insieme alla Finlandia, l’unico paese nordico e scandinavo a non avere un monarca come capo dello stato dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla corona danese nel 1944 quando la Danimarca era ancora sotto la dominazione nazista.

Le elezioni di oggi sono probabilmente le più incerte e le più dibattute della storia della repubblica se si escludono quelle che elessero, nel 1980, Vigdís Finnbogadóttir, prima donna al mondo a capo di stato a seguito di elezioni libere. Quella elezione seguì le forti mobilitazioni delle donne islandesi che, nel 1975, organizzarono il primo sciopero generale femminile per la parità salariale e, su quella spinta, convinsero Finnbogadóttir a candidarsi rimanendo presidente della Repubblica per tre volte consecutivamente.

Anche oggi, secondo tutti i sondaggi, ad essere eletta sarà una donna. Nonostante la decina di candidati alla carica presidenziale le favorite sono 3 e sono tutte donne: Katrín Jakobsdóttir, Halla Tómasdóttir, Halla Hrund Logadóttir. Tra le tre candidate solo Jakobsdóttir è una politica a tutto tondo essendo stata, per 7 anni, la Presidente del consiglio della Repubblica, dimessasi ad aprile proprio per concorrere alle elezioni di oggi.

La figura del presidente della Repubblica in Islanda è simile a quella di altre democrazie costituzionali: oltre a conferire l’incarico al presidente del consiglio ha il potere di respingere proposte di legge del Parlamento e a sottoporle a referendum popolare. Può anche proporre leggi e risoluzioni all’Alþingi (la camera unica) anche se è una prerogativa che non è stata mai utilizzata.

La scelta di Katrín Jakobsdóttir di lasciare la guida del governo dopo 7 anni è figlia sia del consenso che riscuote la giovane politica eco progressista nel paese ma, anche, della crisi del suo partito, Vinstri græn (sinistra verde), in calo vertiginoso nei consensi dopo gli ultimi 3 anni di governo con centristi e conservatori.

Le sue dimissioni hanno portato proprio i conservatori del Partito dell’indipendenza a riprendere la guida del paese e i rosso verdi a doversi accontentare di tre ministeri (uno in più di prima) nel nuovo esecutivo. Se, da un lato, la sinistra verde ha ceduto il passo all’opposizione socialdemocratica che vola nei sondaggi, il consenso della loro ex leader potrebbe portare una loro esponente alla guida della Repubblica.

Gli ultimi sondaggi pubblicati ieri attribuiscono il 27% alla ex premier, tallonata da Halla Tómasdóttir con il 18,5% e da Halla Hrund Logadóttir con il 18,4%. Mentre Tómasdóttir è una business woman e nota oratrice, già candidata alle presidenziali del 2016, Hrund Logadóttir è più giovane di Jakobsdóttir ed è l’attuale direttrice dell’agenzia energetica statale. Fino a qualche giorno fa alcuni sondaggi prefiguravano un testa a testa proprio da Halla Hrund Logadóttir e l’ex prima ministra rosso verde.

Secondo il professore di politica Eiríkur Bergmann la sfida presidenziale è «entusiasmante». «Queste elezioni sono paragonabili a quando Vigdís Finnbogadóttir fu eletta nel 1980» ha continuato il docente universitario «ma si può anche dire che ora la tensione è ancora maggiore». «Non ricordo niente del genere» ha concluso Bergmann «anche se si guarda ben oltre l’ambito delle elezioni presidenziali la sfida tutta al femminile è incredibile e racconta una grande storia di sviluppo sociale del nostro paese».