L’alleanza di destra ha vinto perché è ancora forte l’egemonia liberista. Nonostante il motore della crescita si sia inceppato e vistose crepe si siano aperte nella società dell’abbondanza, abbiamo a che fare con un capitalismo estremamente subdolo che, tramite le nuove tecnologie, non controlla solo la produzione e la distribuzione delle merci, ma condiziona anche i costumi, le preferenze, il linguaggio e, perfino, le coscienze delle persone.

I COMPORTAMENTI elettorali riflettono una struttura economica e un apparato ideologico in cui domina l’individualismo, la frammentazione degli interessi, il consumismo esasperato. La società è molto più complessa e sfaccettata di quanto non fosse quando il conflitto di classe era ben definito e caratterizzato principalmente dal confronto-scontro tra classe operaia e capitale. La politica ha una funzione ancillare rispetto all’economia e tende a rassicurare, tamponare, blandire. Il voto è libero ma l’humus in cui si svolge favorisce oggettivamente il racconto della destra.

Il neo-liberalismo è così egemonico da far suonare la sua musica anche al Pd, la forza più rappresentativa della sinistra italiana. Da essere di «sinistra ma…liberali» a «liberali ma…di sinistra» il passo è stato breve. A cavallo del terzo millennio, si è consumato l’abbandono definitivo di un sistema originale di idee, valori, battaglie sociali e politiche che avevano fatto del Pci una forza popolare, riformatrice, radicata tra i lavoratori, rispettata in Italia e nel mondo.

Il Pd si è ritagliato il ruolo di forza riformista e responsabile che si accontenta di correggere gli eccessi e i fallimenti dell’economia di mercato capitalista. La sua politica ha guardato più al centro che alla periferia, subordinando di fatto l’interesse collettivo a quello privato. Un numero crescente di lavoratori, giovani e donne non si sono sentiti più rappresentati, hanno smesso di sperare nel cambiamento, ritengono inutile recarsi al seggio.

LO SPETTACOLO DI QUESTA campagna elettorale, all’insegna della pochezza intellettuale e del genericismo dei programmi, ha accentuato la tendenza al disimpegno e all’astensionismo. La politica formato tik tok e l’ignoranza unita a furbizia e demagogia hanno mostrato il volto inconsistente di non pochi dei leader che governeranno il nostro paese. La politica è «evaporata» nella diffusa mediocrità degli attori che calcano la scena pubblica.

«Mediocrità è un sostantivo che indica una posizione intermedia tra superiore e inferiore, ovvero suggerisce uno “stare nel mezzo”, una qualità modesta, non del tutto scarsa ma certo non eccellente; indica insomma uno stato medio tendente al banale, all’incolore, e la mediocrazia è di conseguenza tale stato medio innalzato al rango di autorità». (Alain Deneault, Mediocrazia, Neri Pozzi, 2017, pag.36).

Dal punto di vista etimologico il mezzo (il medio) rimanda al centro saldamente presidiato, come sappiamo, da Carlo Calenda e Matteo Renzi. Mediocre è il conformista che «sta al gioco» – non solo in politica – per occupare una casella di prestigio nella scacchiera sociale. A destra la mediocrità si manifesta nella dissimulazione di idee reazionarie sotto il manto del populismo o di una finta moderazione. A sinistra è l’assopimento del pensiero critico, il venir meno di un ragionamento strutturato e dotato di senso. Spesso la mediocrità sconfina nella stupidità, ma con chi nega il cambiamento climatico o chi dice che la flat tax incrementa il gettito fiscale non c’è niente da fare. Carlo Maria Cipolla, grande storico dell’economia, ci aveva avvertiti sul pericolo che gli stupidi rappresentano per sé e per gli altri. Non l’abbiamo ascoltato, non abbiamo preso le contromisure e ora ne paghiamo le conseguenze.

LA POLITICA È PASSIONE civile, movimento reale, lotta per modificare i rapporti di forza. Richiede cultura e competenza. Quando Gramsci parla di «intellettuale collettivo» si riferisce proprio a un’idea di partito in cui preparazione culturale e politica, teoria e pratica, si combinano e stanno insieme. A un certo punto, dalla svolta della Bolognina in poi, è passata una visione del capitalismo come sistema economico «naturale» e immodificabile. Lo scadimento culturale ha preso una china scivolosa. La parola «socialismo» è diventata impronunciabile, quasi fosse una bestemmia. Lo smarrimento della prospettiva si è concretizzata in un atto di fede nella crescita illimitata, nella governabilità, nella centralità dell’impresa rispetto al lavoro, nella sostanziale indifferenza per le lotte sociali e per la condizione degli ultimi. La capitolazione culturale, prima che politica, non poteva essere più completa.

LA RIFLESSIONE dovrebbe ripartire da qui. È tempo di ricostruire la sinistra. Senza pregiudizi e impazienze, bandendo il settarismo, puntando all’unità. L’emergenza globale – con la guerra, il cambiamento climatico, la pandemia e la crisi energetica – ci richiama all’urgenza di un nuovo paradigma economico e culturale. Bando allo sconforto, ci aspetta una stagione non breve di opposizione democratica, combattiva e propositiva, nei territori e nel Palazzo..