La vita negli alveari dei lavoratori precari: 38 case in 100 metri quadrati
Cina La vita dei precari dell'ex Celeste Impero
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Sedici camere al primo piano, tredici al secondo e nove nell’attico. Siamo in una di quelle zone residenziali benestanti sul terzo anello ovest di Pechino, in un’abitazione da cento metri quadri: due piani più attico. Gli interni sono stati divisi in trentotto “camere”, in genere destinate ad affittuari. Tra loro ci sono programmatori di giochi per cellulari della Apple o membri del personale di night club aperti da rinomate proprietà, studenti iscritti ai corsi di formazione del gruppo Nuovo Oriente, dipendenti di saloni di bellezza o intermediari del settore immobiliare. Quando non possono permettersi uno scantinato escono in superficie. Quando i prezzi delle case a Pechino lievitano ai livelli di New York o Sidney, allora abbandonano le vecchie camerette da poco più di dieci metri quadri per entrare in questi “appartamenti” affollati come alveari, spremuti in minuscole partizioni che non arrivano ai tre metri quadri. A Pechino le zone studentesche e di uffici sono tutt’altro che rare e questo tipo di affittuari sopravvive silenziosamente in questi “alveari”. Ogni giorno, rientrano solo per sdraiarsi e dormire, una volta alzati vanno al lavoro, solitamente senza scambiarsi una parola.
All’inizio è notte fonda. Ma appena il primo sole della mattina fa capolino nella nebbia fuori dalle finestre, è un susseguirsi di suonerie ostinate; poi si avverte il rumore dei passi disordinati e di acqua che scroscia sulle facce e infine il suono fragoroso di porte che sbattono. Allora Dapeng non ha più modo di proseguire il sonno notturno, raggomitolato nel piumino. Gli inquilini si riversano fuori dallo stabile con indosso completi stirati alla perfezione, scarpe di cuoio che risplendono, eleganti cappotti e calze di seta. Si aggirano a intermittenza all’entrata del complesso residenziale, avventurandosi tra i banchetti che vendono le jianbing calde [frittelle di farina e uova, ndt], le uova bollite nel tè e i paninetti di carne d’asino tritata… Tra una folla di uomini e donne alla moda, la camicia di Versace e i pantaloni di Calvin Klein che indossa Dapeng non spiccano.
La gioia quotidiana di Dapeng è tutta nel momento in cui attraversa il complesso residenziale di buon mattino. Le aree verdi sono molto belle e nelle giornate di sole spesso giovani mamme portano i loro bambini a giocare sotto padiglioni in legno. Dopo il diciottesimo ciclo solare [tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, ndt], le foglie dorate del ginko e i raggi di sole luminosi splendono assieme, mentre l’arrivo dell’inverno a Pechino crea degli scenari che restituiscono un senso di serenità. È solo la sera, quando ritorna nella casa di tre metri quadri, che si butta giù: «Solo in quel momento capisco quanto io sia povero: dal paradiso entro dritto all’inferno».
Un angolo di tre metri quadri
Quanto la Apple stia cambiando la vita della gente, non lo sa con chiarezza neppure Dapeng, programmatore di giochi per cellulare per la Apple. Tra tutte le simulazioni dei personaggi che appaiono in questi giochi, quello che preferisce è il re dell’Arabia Saudita. Lui può entrare tranquillamente nella Torre degli arabi di Dubai, invece di vivere in un cantuccio rimediato dall’appartamento di una zona residenziale benestante, dove appena ci si rigira si urta contro una parete.
Questo è in assoluto lo spazio più piccolo dove il ventinovenne Dapeng ha vissuto in tutta la sua vita. Né in lunghezza né in larghezza arriva ai due metri, e la superficie che non supera i tre metri quadrati. Appena dentro può solo sedersi sul letto, con tutto il suo metro e ottanta di altezza. Al lato del letto, il tavolino da computer è appoggiato a un armadietto; nel voltarsi, se non fa attenzione, può sbattere contro il muro del vicino. Guardando con attenzione fuori da una finestrella grande quanto un giornale, può vedere di fronte a sé un pezzo dell’insegna dell’Hotel a cinque stelle Shangrila brillare tutta la notte.
Se non avesse contratto debiti con la carta di credito mettendosi in affari, forse Dapeng oggi potrebbe vivere in condizioni migliori. Prima di stabilirsi in questo spazio, Dapeng ha visitato anche stanze con un affitto mensile sotto ai mille yuan [circa centoventicinque euro, ndt]. Non pensava che esistessero situazioni ancora peggiori di quella in cui si trova: stanze dove non entra la luce del sole e dove solo la luce fioca di alcune lampadine da’ illuminazione per ventiquattro ore al giorno. Gli stanzini hanno porte adiacenti, praticamente come fossero celle di una prigione. Entrarci in pieno giorno gli ha restituito un senso di deprimente oppressione.
Almeno la stanza dove vive ora ha una finestrella, e nei giorni di sole un po’ di luce naturale entra. La sera, anche se è costretto a fare la fila fino alle undici, può comunque farsi una doccia con acqua calda e ha a disposizione la lavatrice per il bucato. Per mantenere le minime condizioni di igiene e un po’ di cura per se stesso, Dapeng crede di avere scelto la soluzione più soddisfacente. A quest’abitazione a due piani è stato aggiunto ancora un attico, su tre piani: ora ci sono trentotto stanze, tutte numerate, e la maggior parte è senza finestre. Ci sono finestre simboliche che danno sul corridoio interno. Dapeng, per aver scelto una stanza con finestra che guarda al mondo di fuori, paga centocinquanta yuan [circa diciotto euro, ndt] in più rispetto a chi non ha finestre in camera. Per avere questa finestra, Dapeng è stato costretto ad accettare.
Prima Dapeng viveva al suo ufficio. Era un appartamento tra i settanta e gli ottanta metri quadrati, diviso in cinque ambienti. Ci vivevano sette persone, ma Dapeng era l’unico inquilino della stanza principale, per cui pagava milleseicento yuan [circa duecento euro, ndt]; ma dopo quattro mesi il proprietario aveva portato l’affitto a duemilaquattrocento yuan [circa trecento euro, ndt]. L’estate di quest’anno, quando Pechino è stata colpita dalla grande alluvione, una persona che dormiva nel piano interrato è morta annegata. Stando alle statistiche sull’alluvione del 21 luglio diramate dal governo municipale di Pechino, delle vittime inserite nella lista, sei sono morte dentro il quinto anello della città. Di queste, due hanno perso la vita negli scantinati dove vivevano. Per questo Dapeng non ha osato prendere in considerazione l’ipotesi di vivere in una cantina. Così ha trovato su internet l’annuncio per questa piccola camera da ottocento yuan [circa cento euro, ndt]
Dieci anni fa, con un po’ di fortuna, a Pechino con la stessa cifra Dapeng avrebbe potuto prendere in affitto una camera di circa venti metri quadri, ad esempio dentro un 四合院 siheyuan [abitazione tradizionale, dove da un cortile centrale c’è l’accesso a quattro ambienti diversi, uno per ogni lato, ndt]; per una cifra ancora inferiore avrebbe potuto trovare uno scantinato (all’epoca si diceva che a Pechino c’era quasi un milione di persone, la “tribù dei topi”, che abitava negli scantinati). Cinque anni fa, allo stesso prezzo avrebbe potuto permettersi solo una singola di dieci metri quadri, o anche un’abitazione contadina nel sobborgo di Tangjia ling (erano gli anni della “tribù delle formiche” di Tangjia ling). Ma in seguito alla demolizione e alla riqualificazione delle aree più povere, oggi Dapeng può affittare solo uno spazio di tre metri quadrati.
Con l’inizio dell’inverno le temperature si sono abbassate. Dapeng non smette di chiedersi se sia possibile trovare una casa migliore; una settimana fa, mentre era sulla strada di casa, all’improvviso si è stupito vedendo che sotto al ponte coperto del parco del bambù nero era stata sistemata una branda. Dalle coperte, un uomo e una donna, autisti di motorisciò, tenevano tra le braccia un bambino addormentato, all’apparenza sui due o tre anni. La carta attorno alla testa lo riparava dal vento mentre la donna rammendava le coperte di lunghezza irregolare e il materasso. Quindi, la coppia aveva tirato fuori secchi e stracci e per sette yuan [poco meno di un euro, ndt] aveva cominciato a lavare i taxi che si fermavano per la notte.
Dapeng non era riuscito a trattenersi e gli aveva chiesto se il bambino non sentisse freddo. L’uomo e la donna gli avevano risposto sorridendo che non sentiva freddo perché era ben coperto e che alle sette di mattina l’avrebbero riportato a casa. Passando sul ponte pedonale del parco del bambù nero, Dapeng aveva sentito il vento freddo entrare nel giaccone. Dopo essere rientrato nel palazzo pieno di gente addormentata e dopo essersi sdraiato sul letto stretto, si era consolato pensando che almeno aveva un posto dove dormire.
Da sottoterra alla superficie
Con l’arrivo del caldo, Zhuo Ya, impiegata in una piccola azienda, ha preso possesso di una singola adiacente al bagno. Con sé portava due libri: Sei modi di fare successo e Lezioni di vita. Zhuo Ya, in passato, aveva fatto parte della “tribù dei topi”, ma tra aprile e maggio del 2008, il proprietario dello scantinato dove viveva le aveva detto di trovarsi presto un’altra sistemazione, perché l’Ufficio per la proprietà immobiliare e le amministrazioni di quartiere stavano diramando annunci sulla chiusura degli scantinati in affitto. In quel periodo, lo svuotamento delle cantine era già a buon punto in diversi distretti chiave, come a Fengtai, Chaoyang e Haidian e la maggior parte dei piani interrati compresi tra il terzo anello Sud, il terzo anello Ovest, il quinto anello Est e il quinto anello Nord non avevano già più inquilini. L’iniziativa ebbe ripercussioni su un numero imprecisato di persone, tra le cento e le trecentomila, tutta gente che come Zhuo Ya aveva un reddito basso.
Zhuo Ya ricorda che, proprio a seguito dell’ondata di sfratti, i prezzi delle case in superficie e delle case a un piano erano schizzati rapidamente alle stelle. Ovunque spuntavano annunci per case da condividere e per piccole stanze. Così Zhuo Ya portò in superficie i suoi libri preferiti, entrando in una piccola singola di dieci metri quadri. Intorno a lei c’erano cuochi di seconda scelta, commessi, camerieri, personal trainers, attori, stagisti… Dalla “tribù dei topi” era entrata a far parte della “tribù delle formiche”. Ma nel 2010, il quartiere di Tangjia ling, la più rinomata zona residenziale per la “tribù delle formiche”, cominciò ad essere abbattuto. Le demolizioni erano parte del progetto di riqualificazione di luoghi chiave delle periferie, in particolare di cinquanta zone (fra cui Tangjia ling nel distretto di Haidian e l’agglomerato dello hutong di Xiajia, nel distretto di Fengtai) in cui si registrava una situazione critica dal punto di vista dell’igiene ambientale e dell’ordine pubblico. Le demolizioni furono portate avanti con grande rapidità, lo scenario era quasi magico: il mese prima in quelle case c’erano persone che mangiavano; il mese dopo c’erano solo rovine ammucchiate circondate da negozietti e case con impresso il carattere chai, “da demolire”.
L’affitto pagato da Zhuo Ya era già lievitato da ottocento a ottocentocinquanta yuan, quindi a mille e poi a millecinquecento yuan [rispettivamente cento, centosei, centoventicinque e centottantasette euro, ndt]. Alla fine, nell’estate 2012, ha trovato un annuncio su internet per una piccola camera da ottocento yuan. Anche se è grande solo due o tre metri quadrati ed è attaccata a bagno e alle docce, anche se il vapore e gli odori la rendono perennemente umida e maleodorante, è pur sempre più economica. Insistendo con il proprietario, alla fine è riuscita ad ottenerla per seicentocinquanta yuan [circa ottanta euro, ndt].
Allora, anche Dapeng si era trasferito da poco. Nelle serate estive, il proprietario di casa accendeva il condizionatore solo dalle otto alle dieci di sera. Per un giovane come Dapeng non era un grande problema, gli bastava stare a torso nudo e infilarsi un paio di pantaloncini corti di grande taglia. Ma una ragazza o dormiva in pigiama o era costretta a stare con la porta chiusa, a meno che non ci fosse nessuno di passaggio. Per un po’ di frescura, alcune ragazze andavano spesso a fare un giro al vicino parco del bambù nero, rientrando la sera solo per dormire.
Al secondo piano, gli inquilini stanno stretti. In tutto ci sono tredici camere e Zhuo Ya occupa quella più all’interno. Per lei è davvero raro avere dei momenti di benessere, davanti alla porta non è raro trovare pedate sovrapposte e acque di scarico. Malgrado ciò, ogni mese deve pagare anche cinquanta yuan [circa sei euro e mezzo, ndt.] per l’aria condizionata e dieci yuan [poco più di un euro, ndt.] per le pulizie. Al secondo piano, il bagno di servizio e la stanza delle docce non hanno la porta. Dentro il water perde, si scivola e il vapore ha intriso le pareti. Il letto di Zhuo Ya è sempre bagnato perché una delle due pareti a cui è appoggiato è quella che separa la camera dal bagno. L’unica soluzione che le è venuta in mente è stata quella di comprare da un banchetto due sacchetti di carbonella di bambù; il primo lo ha messo sullo scarico del water e il secondo su una finestrella grande come i suoi libri. Se alle tredici camere del secondo piano si aggiungono gli inquilini dell’attico – in tutto nove stanze – i servizi igienici sono insufficienti; quale aria potranno mai deumidificare e purificare due sacchetti di carbonella grandi come due pezzi di pane? Le servono solo da conforto, tutto qui. Di tanto in tanto Zhuo Ya deve anche dare un’occhiata, per evitare che qualcuno porti via le due buste.
Nel passaggio dal secondo piano alla veranda c’è spazio solo per una persona; dall’alto pendono tutti ammucchiati capi di biancheria, lenzuola e copriletto lasciati ad asciugare. Per passare si è costretti a strisciare lungo la parete. Dal momento che qui nessuno si conosce e non c’è una persona che si occupi di ordinare il bucato, questo piccolo corridoio grande un metro per due è diventato un territorio prezioso conteso tra il secondo e il terzo piano, per proteggere le proprie cose dalla pioggia. Zhuo Ya inizialmente l’aveva presa con uno spirito un po’ troppo romantico. Nella veranda aveva messo un tavolino e qualche seggiola, cosicché nei giorni di riposo avrebbe potuto fare due chiacchiere con qualcuno sorseggiando un tè. Da allora, la vite americana che è nella veranda da verde scuro è prima ingiallita e poi, con l’arrivo dell’autunno, le foglie sono diventate rosse; Zhuo Ya ancora non ha avuto la possibilità di usare il tavolino, del resto fino a oggi nessuno le ha mai rivolto la parola e di conseguenza anche lei è stata costretta a tacere. Quando rientra in camera spegne la luce e si sdraia senza dire una parola, ascoltando in silenzio ogni persona lavarsi viso e denti, urinare e defecare, tirare lo scarico, farsi la doccia e soffiarsi il naso. Tutto questo finché dal bagno non si sente più nessuna voce e dalle camere di fronte giunge il russare, che oltrepassa le travi delle pareti senza che queste oppongano resistenza. «A quel punto–dice- lentamente mi addormento». Le orbite dei suoi occhi sono sempre scure e il viso è provato; con quell’aria stanca sembra sempre che abbia percorso chilometri.
Zhuo Ya tiene sapone e dentifricio nel bagno comune, poi ha un armadietto che ha messo davanti alla porta del bagno, con la sua valigia sopra. Si è sistemata così, vestiti e libri li ha potuti solo ammucchiare davanti alla porta, già di per sé molto umida. Un giorno, nel bagno c’è stata una perdita di acqua; il suo dizionario di tedesco e i suoi libri, gli oggetti a lei più cari, si sono bagnati, e ha dovuto lasciarli ad asciugare lentamente davanti all’assolata finestra a vetro del secondo piano. Ci sono diverse cose a cui non può davvero rinunciare: una settimana fa ha messo davanti alla porta della sua camera due fiori, un giglio bianco e un non ti scordar di me viola. Il giglio si sta lentamente ingiallendo, ma resta l’oggetto più toccante di questa stanza.
La preoccupazione più grande
Ogni giorno Dapeng naviga su internet. Per lui, i prezzi delle case a Pechino sono oramai le notizie di maggiore interesse. Con sempre più disillusione ha appurato che nel secondo semestre del 2012 le compagnie edilizie sono tornate a investire nelle città di prima fascia [Pechino, Shanghai, Canton e Shenzhen, ndt.]. Nelle città di seconda fascia, come Chongqing e Chengdu, la “febbre” immobiliare, che durava ormai da tre anni, ha fatto crescere fino al quaranta per cento il tasso di edifici vuoti destinati a uffici; contemporaneamente, la continua crescita dei prezzi dei terreni ha colpito i margini di profitto dei costruttori di edifici residenziali. Così investitori e imprenditori si sono concentrati nuovamente su Pechino e Shanghai, dove il tasso di occupazione degli edifici di fascia alta destinati a uffici è vicino al cento per cento e i prezzi degli affitti sono sul livello di città come New York e Sidney.
Dopo aver fatto ricerche sui prezzi delle case a Pechino, Dapeng, demoralizzato, ha scoperto che, per via delle sue entrate e della sua residenza, a Pechino non può permettersi di comprare né una casa per persone a basso reddito, né tanto meno una casa a prezzo di mercato. Malgrado lavori in una compagnia quotata in borsa, i centomila yuan [circa dodicimila cinquecento euro, ndt.] accumulabili in cinque anni nel fondo pubblico per l’acquisto della casa sarebbero ancora insufficienti per coprire la parte di spesa non rateizzabile. L’unico modo è mettersi a guadagnare con ancora più impegno.
Dapeng ricorda un gioco della Apple, dove si devono lanciare dei fogli accartocciati contro il proprio capo. Sembra un gioco banale, ma negli Stati Uniti ha avuto milioni di utenti, rendendo ricco il suo giovane inventore. La vastità della piattaforma che gli offre la Apple di Jobs fa sì che Dapeng riesca a vedere una sola opportunità: la creazione di un gioco miracoloso. Per realizzare questo miracolo ha contratto dei debiti e ora può permettersi solo questo minuscolo “bugigattolo”, dove condurre una vita frugale.
I risparmi di Dapeng, se trasferiti nelle tasche di Yingzi, sarebbero uno spreco. Si dice che alcune persone spendano centinaia di yuan al mese per il telefono. Lei risponde: «Davvero? A me cento yuan [circa dodici euro, ndt.] sono sufficienti». Yingzi vive al secondo piano. Per arrivare in ufficio, situato a Xizhimen, le bastano quattro fermate di bus; con la tessera per i mezzi pubblici spende solo quattro mao [circa cinque centesimi di euro, ndt.] a corsa. Tra le città dove è stata, forse Pechino è quella con i mezzi di trasporto pubblici più economici. Quando le chiedo se lascerebbe mai Pechino, lei risponde pronta: «Dammi il nome di un’altra città dove ci sono tutte le comodità di Pechino». In verità, per lei guadagnare a Pechino cinquemila yuan [circa seicentoventi euro, ndt.] è come guadagnarne duemila [circa duecentocinquanta euro, ndt.] nel suo paese natale. A Pechino non riesce a mettere da parte nulla ed è molto attenta a come spendere i soldi, ma fortunatamente la sua azienda le ha dato uniforme e abiti, permettendole di risparmiare qualcosa.
La paura più grande di Yingzi è il fuoco: se divampasse un incendio in uno spazio così affollato, non osa pensare a cosa succederebbe subito dopo la prima scintilla. Quando va al lavoro, prima di uscire, Yingzi stacca sempre le spine dalle prese che ha in camera, spegne la lampadina del corridoio e, quando la vede ancora accesa, va a spegnere anche quella del bagno. Pensa che, essendo così tanti, se scoppiasse un incendio, la migliore via di fuga potrebbe essere la veranda. Però il corridoio per la veranda, così pieno di vestiti, consente il passaggio solo di una persona per volta. Questa è in assoluto la casa con più inquilini dove Yingzi abbia mai vissuto; ci è arrivata da cinque mesi, ma ancora non ha conosciuto nessuno.
In un angolo dello stretto corridoio al secondo piano, in mezzo al frigorifero, ai cavi per la rete, alla presa multipla e altre cianfrusaglie, c’è anche un distributore di acqua. È sempre acceso perché il proprietario lo riempie con l’acqua corrente del bagno. Yingzi non beve mai quell’acqua, compra sempre acqua minerale al supermercato e questo è il lusso più grande che si concede nella vita. Con l’arrivo delle giornate fredde e dell’inverno, nella sua camera non ha modo di riscaldare l’acqua. La sola soluzione che ha trovato è quella di bere abbondantemente acqua in ufficio. Da quando rientra a casa fino alla mattina successiva, prima di andare in ufficio, ce la mette tutta per non bere acqua. La sera, due biscotti fanno tutta la sua cena.
Dapeng e Yingzi si sono incontrati solo in ascensore. Lui ricorda vagamente questa ragazza magra, delicata e dai capelli lunghi: «Mi sembra che cammini sempre a testa bassa». Dapeng si ricorda anche che una volta, quando si era appena trasferito, in l’ascensore aveva incontrato una coppia sulla cinquantina che viveva nello stesso edificio. Incuranti, avevano detto: «Questo condominio è allo sbando, ci sono persone di tutti i tipi che vengono a vivere qui! Com’è possibile che ci siano tutti questi sconosciuti?». Dapeng non aveva detto una parola, ma il sangue gli ribolliva, avrebbe davvero voluto urlargli: «E voi? Voi chi siete?». Quel giorno aveva indosso una camicia bianca di Versace, dei pantaloni blu cenere di Calvin Klein e scarpe di pelle nere; al polso portava un orologio bianco della Apple, ma questo non cambiava le cose. I tanti anni di vita trascorsi facendo la spola tra Pechino e Shanghai gli hanno insegnato a non osare offendere nessuno, e alla fine ha abbassato la testa senza neanche replicare.
Dapeng ha sempre trovato di conforto che chi vive in questa città non abbia alcuna considerazione per le festività tradizionali. In occasione della Festa di metà autunno di quest’anno [La festa di metà autunno è ricorrenza che cade tra i mesi di settembre e ottobre; è una delle principali feste tradizionali del calendario lunare cinese, ndt.], come anche lo scorso anno, la sua azienda gli ha regalato un dolcetto della luna [impasto ripieno cotto al forno e consumato in occasione della Festa di metà autunno, ndt.], proprio uno di numero. Lui c’è rimasto male, ma lo ha mangiato per merenda con il tè pomeridiano, ricorda ancora che era farcito con datteri. Nei tre quattro anni che ha trascorso a Pechino, il miglior pasto di cui ha memoria c’è stato lo scorso inverno, quando fu invitato a un buffet da duecentonovantotto yuan [poco meno di quaranta euro, ndt.]. C’erano chele e zampe di granchio e anche la lingua di vitello: «C’era tantissima carne, ho mangiato sei chele di granchio una dopo l’altra!».
Rispetto a Pechino, Dapeng sembra avere più nostalgia per la vita a Shanghai. Cinque anni fa, a due o tre fermate di distanza dal centro finanziario di Lujiazui c’erano case a poco più di mille yuan al mese [circa centoventicinque euro, ndt.]. Il complesso residenziale dove viveva era tranquillo, c’era anche un supermercato di una catena aperta ventiquattro ore al giorno e una stradina piena di sartorie, dove si cucivano i vestiti a mano. Ancora oggi indossa una maglia gialla cucita a mano da uno di quei sarti; all’epoca era costata più di cento yuan [circa dodici euro, ndt.] e dopo averla indossata e lavata per così tanti anni è ancora come nuova. Quando la indossa per uscire fa sempre la sua figura. Ora, anche i prezzi delle case a Shanghai sono cresciuti come un onda quando il mare è mosso, e non osa pensare a quanto siano arrivati.
Agli occhi di chi non vive lì, questo complesso residenziale appare bello e luminoso. La struttura su più piani da un’aria imponente, che sembra riflettere il modello di vita borghese delle pubblicità delle agenzie immobiliari. Si vedono mamme e bambini dal viso sorridente, c’è la bellezza dei fiori di crisantemo e delle foglie di ginko. Tuttavia, se si sposta lo sguardo sulla stradina adiacente al complesso, che costeggia un piccolo canale dall’acqua torbida, appaiono alla vista due lati di case disordinate e bettole che emettono vapori di soffocante aroma piccante e di fogne maleodoranti. La strada è molto rumorosa e disordinata, riempita dai motorisciò di chi raccoglie materiali di scarto e di fruttivendoli. In tutta la zona di fronte al complesso ci sono proprio le case delle persone che raccolgono materiali di scarto. Davanti alle basse case disseminate alla rinfusa, oltre alle pile di bottiglie di plastica e di scatole di cartone sono appesi anche pannolini, lenzuola e copriletto di diverse dimensioni. Nel mezzo del vento invernale, queste dimore sembrano riportare all’aspetto originario della vita . Dapeng in genere non ci fa caso e scappa via rifugiandosi nella sua piccola abitazione.
Come Yingzi, la cosa che più spaventa Dapeng è che scoppi un incendio. Sulla scala del secondo e del terzo piano, i cavi elettrici e quelli per connettersi alla rete si ingarbugliano in un groviglio di fili. Probabilmente anche il proprietario di casa ha la stessa paura: quando Dapeng è entrato in casa gli ripeteva che oltre al computer non avrebbe potuto utilizzare altre apparecchiature elettriche ad alta potenza. Ad ogni modo, una volta, nella casa improvvisamente è andata via la luce; in tutto il resto dello stabile c’era corrente, solo nel loro appartamento era saltata. Quella volta erano già le sette o le otto di sera, il proprietario di casa aveva controllato le camere una a una e solo alla fine aveva capito che era stato il distributore d’acqua del terzo piano a far saltare la corrente. Dapeng, dopo averlo saputo, si era spaventato a tal punto da non riuscire a dormire fino a tardi la notte. In origine l’apparecchio era sempre stato di fronte alla porta della sua camera: «Ma per fortuna io non l’ho mai usato».
Un po’ di tempo fa, per risparmiare i soldi della colazione, ha speso più di cento yuan [circa tredici euro, ndt.], comprando su internet un bollitore elettrico per le uova. La mattina avrebbe attaccato di nascosto la presa sperando che nessuno che stesse usando apparecchiature elettriche. Ma ben presto avrebbe anche scoperto che Yingzi, al piano di sotto, la sera di ritorno dal lavoro aveva lavato delle uova e anche lei stava bollendo delle uova. O che una bella editor stava lavando i pomodori per cuocere anche lei di nascosto degli spaghetti istantanei.
Tutti i giorni, senza eccezioni, le porte si aprono e si chiudono. A parte gli inquilini che cambiano di continuo, il resto è sempre tutto uguale: la maniglia del bagno del terzo piano cade di sotto appena la tocchi, rischiando di urtare la testa di altre persone; l’acqua del water al secondo piano fa sempre un lago per terra e quando si va in bagno scarpe e orlo dei pantaloni sono sempre umidi; i materassi su cui stendersi sono sempre in fibra chimica e quindi infiammabili; il proprietario ripete di continuo che nella casa non si può fumare e nel bagno ci sono spesso cicche di sigaretta; la lavatrice appena parte emette un rumore assordante; e, infine, oltre al proprietario di casa Dapeng ancora non conosce nessun altro. Dapeng è sempre stato curioso di sapere perché la moglie del proprietario di casa fosse sempre in giro come un’assistente del proprietario; perché veniva da fuori tutte le mattine per passare lo scopettone al terzo piano, rimuovere i rifiuti, pulire bagni e docce. Solo lentamente ha realizzato che in realtà anche la moglie del proprietario viveva nella casa! E aveva scelto anche una stanza senza finestra! Marito, moglie e figlia vivevano tutti nella casa; la moglie del proprietario, per guadagnare un po’ più di soldi, provava sempre a raccomandare in tutti i modi agli inquilini la stanza con la finestra.
Il giorno che andremo via
Un collega ha consigliato a Dapeng di darci un taglio e spostarsi nel distretto di Fangshan [nell’estrema periferia Sud Ovest della città, ndt.], cercare là un’abitazione più economica e sicura, considerando che la linea metropolitana di Pechino verrà estesa fino a lì. Fangshan dista dal terzo anello di Pechino più di trenta chilometri. Attualmente non c’è metropolitana, il che significa che Dapeng dovrebbe alzarsi ogni giorno alle quattro o alle cinque della mattina, per spendere tre quattro ore sui mezzi pubblici e lavorare in ufficio mezzo addormentato. La sera, dopo aver staccato alle sei, arriverebbe a casa solo tra le dieci e le undici e non avrebbe neppure sei ore quotidiane di sonno. Su metro e bus pieni di gente dovrebbe stare schiacciato contro il finestrino, come una sardina. In questo modo finirebbe in un nuovo incubo.
In dieci anni, la metropolitana di Pechino è cresciuta fino ad avere quindici linee attivate, dalle due iniziali. Nel 2011, la popolazione con residenza temporanea a Pechino aveva raggiunto gli otto milioni duecentocinquantottomila di persone, ma rispetto al 2010 era diminuita di seicentomila unità. Questo dato, rilasciato dall’Ufficio di statistica della municipalità di Pechino, per la prima volta, dalla divisione della capitale in distretti, rivela che la popolazione temporanea è diminuita. La crescita costante dei costi per abitare a Pechino ha costretto alcune persone ad abbandonare per sempre questa città. Quest’anno Dapeng ha ventinove anni; anche lui in passato ha pensato di trasferirsi a Shenyang, la sua città natale, ma i giorni che ci ha trascorso in occasione del Capodanno cinese lo hanno convinto che non vuole tornare, perché ha nostalgia di Pechino e dei suoi mezzi pubblici affollati, dell’olio di scolo e delle jianbing; ha nostalgia di tutto ciò che ha a che fare con la vita a Pechino: «In cuor mio ho ancora un filo di speranza».
Sono già cinque anni che Dapeng non pensa all’amore; in passato sognava una vita in cui «mi sarebbe bastato avere una persona da amare. Dove vivere in realtà era indifferente, anche se sarebbe capitato di saltare un pasto, l’importante era una vita che potesse avere speranza. Alzarsi la mattina, sciacquarsi la faccia e lavarsi i denti insieme, andare al lavoro e preparare la cena insieme. Dopo cena io avrei lavato i piatti e poi avremmo visto insieme la televisione e saremmo andati a letto insieme». La condizione per tutto questo è avere un posto dove vivere.
In passato, dietro la porta accanto alla stanza di Dapeng, viveva un ragazzo. Una volta Dapeng aveva trovato la porta della sua camera aperta e aveva visto che nell’armadietto non c’era nessun vestito invernale, era completamente vuoto. Quel ragazzo aveva indosso tutti i suoi vestiti, non aveva alcun ricambio. A quella vista, Dapeng non aveva potuto evitare un senso di malessere: «Più o meno siamo tutti nella stessa condizione: soldi, posizione sociale, relazioni sociali… Non ho niente in mano, sono arrivato al punto che non ho più neanche la giovinezza».
Una settimana fa, Dapeng ha ospitato temporaneamente un suo compaesano. Per questo è stato accusato dalla moglie del proprietario, che ha sollevato la questione dei costi dell’acqua e dell’elettricità. I due hanno litigato, la diatriba è stata talmente accesa da finire nella stazione di polizia. L’indignazione ha spinto Dapeng a prendere infine la decisione di spostarsi in una singola un po’ più grande e di abbandonare questo “alveare” ripartito in trentotto camere. «Il giorno che scoppierà un incendio vero ho paura di non riuscire a scappare». Ha trovato una sistemazione temporanea nella zona del ponte di Lishui [a Nord del quinto anello, ndt.] e ha iniziato i preparativi per trasferirsi lì.
Il giorno in cui Dapeng è tornato in quella casa per prendere la valigia e andarsene, c’era un altro ragazzo che stava per entrare. Mentre l’ascensore che saliva risuonava, Dapeng lo ha guardato e riconosciuto: era l’inquilino che viveva da sei mesi nella stanza affianco alla sua. Nonostante Dapeng si sia fatto coraggio per dirgli qualcosa, quanto meno un saluto simbolico, alla fine non gli è uscito fuori niente. Ha pensato che non si erano mai rivolti la parola, in nessuna circostanza. Nel momento in cui le porte si sono aperte, solo una volta arrivati all’ultimo piano, Dapeng non ha potuto fare a meno di tirare un sospiro. Era sabato e le stanze erano tranquille, dentro non volava una mosca. Un ragazzo del terzo piano gli è passato davanti sfiorandolo per andare in terrazza a prendere le lenzuola inzuppate. A Pechino stava piovendo, per il giorno dopo era prevista neve. L’inverno è già alle porte e finalmente Dapeng sta per lasciare quel luogo da incubo. Mentre sistemava le sue cose, una ragazza con gli occhiali è comparsa all’improvviso davanti alla porta: «Do un’occhiata alla camera».
In quel momento, lui stava riordinando le uova scontate che aveva comprato al Carrefour dopo avere fatto la fila. Una scatola da dodici uova, in tutto otto yuan e due mao [circa un euro, ndt.], la data di scadenza era ormai vicina. Facendo molta attenzione aveva sistemato le uova in una tasca nella parte superiore del suo zaino.
«Ah… non è male, qui entra la luce del sole», le ha detto indicando la finestra. Lei lo aveva guardato in modo assente. Era una finestrella sigillata all’esterno, una finestra verso Est da cui non si vedevano le stelle. Ma era grande come un giornale –Dapeng si era piegato infinite volte per misurare con lo sguardo la città nel fermento notturno e l’acqua luccicante nel laghetto del parco del bambù nero- e di fronte allo scoppio improvviso di un incendio, non sarebbe nemmeno stata sufficiente a dare una via di fuga. In quel momento fuori era fosco, il traffico del terzo anello di Pechino, come al solito, era incessante.
(Dapeng, Zhuo Ya e Yingzi sono nomi di fantasia)
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