La vendetta (postuma) di Trump contro le piattaforme
Stati uniti L'ultimo assalto di Trump alle piattaforme, con il controllo dell'authority che controlla la Rete (la Fcc), può essere respinto solo con la vittoria, difficilissima, dei democratici al ballottaggio per il senato in Georgia. Attivisti e mediattivisti intanto si mobilitano
Stati uniti L'ultimo assalto di Trump alle piattaforme, con il controllo dell'authority che controlla la Rete (la Fcc), può essere respinto solo con la vittoria, difficilissima, dei democratici al ballottaggio per il senato in Georgia. Attivisti e mediattivisti intanto si mobilitano
I diritti digitali di tutti? Si decidono in Georgia, negli Stati uniti. Può sembrare esagerato ma è proprio così. Naturalmente si parla dei diritti made in Usa, nazione alla quale però le legislazioni di tutto il mondo sembrano ispirarsi. Da decenni. Nel bene e nel male (come nel caso recente dell’Europa che – pare – vorrebbe ora consentire la violazione della scrittura crittografata, sull’esempio di un’analoga proposta legislativa americana).
Si decide in Georgia, si diceva, perché resta solo la Georgia. Ma andiamo con ordine.
Uno degli ultimi atti di questo senato statunitense è stata la ratifica dell’ennesima provocazione di Trump. La nomina alla Federal Communications Commission di Nathan Simington, suo fedelissimo. Preceduta da un’altra mossa dell’ex presidente in questo tormentato e drammatico interregno prima dell’investitura di Biden: senza tante cerimonie, quindici giorni fa, ha scaricato un altro “suo” commissario, Mike O’Rielly.
Anche lui trumpiano – e della prima ora – ma “colpevole” agli occhi dell’ex presidente di non averlo sostenuto nella sua campagna contro l’ormai famosissima “sezione 230”. Quel paragrafo di una vecchia legge varata da Bill Clinton 26 anni fa, la Communications Decency Act, che libera i fornitori di servizi on line dalle responsabilità penali per quello che scrivono gli utenti.
Come ormai noto, durante la campagna elettorale e soprattutto dopo la sua sconfitta, Twitter ha più volte accompagnato i messaggi di Trump con un disclaimer, un’avvertenza – “queste notizie non sono confermate” – e quindi il tycoon ha deciso di fargliela pagare.
Per ritorsione è tornato a chiedere l’abrogazione della 230, in modo che i social siano esposti a centinaia di migliaia di cause legali. Trump voleva che l’abrogazione fosse decisa subito dalla Federal Communications Commission (Fcc), che ha vastissime competenze ma non questa. Non può modificare una legge. L’abrogazione sarebbe stata dunque una misura anticostituzionale.
Mike O’Rielly aveva provato semplicemente a farlo notare alla Casa Bianca. Timidamente. Ma Trump l’ha fatto fuori. Al suo posto ha proposto al Senato la nomina di Nathan Simington. E la scelta è stata ratificata, l’8 dicembre.
Per capire cosa questo significhi, va ricordato che la Fcc è composta da cinque membri. Presidente, fino a quando giurerà Biden, è Ajit Pai. Forse il peggior presidente nella storia dell’authority delle comunicazioni statunitense.
Solo per dirne una, in tre anni è riuscito a distruggere uno dei capisaldi introdotti dalle legislazioni di Obama, la cosiddetta neutralità della rete. In base alla quale tutti gli utenti (e tutti i servizi, ndr) avevano diritto ad una uguale connessione.
Ora, grazie a Ajit Pai, la net neutrality è stata abolita e chi più paga ha una connessione più veloce. Chi più paga si prende più banda, per gli altri si rallenta. Col caso limite di una stazione dei vigili del fuoco californiana che, in piena emergenza incendi, non riuscendo a comunicare con le altre stazioni, chiese al proprio fornitore di aumentare la velocità. La risposta fu: “Prima pagate”.
Il peggiore presidente e per dirla con Evan Greer, vice direttore di Fight For The Future, “uno dei più corrotti funzionari governativi”. Corrotto dalle big del settore.
Resta da dire comunque che originariamente la sua nomina fu decisa da Obama (cosa che forse dovrebbe aprire una riflessione a parte). Non appena si insediò Trump, però, Ajit Pai passò armi e bagagli alla corte del nuovo inquilino della Casa Bianca. Ed è stato così confermato nel suo incarico.
Come prevede la prassi e la norma, con l’insediamento di Biden a gennaio 2021, Ajit Pai si dovrebbe dimettere.
Resta ancora da considerare un ultimo elemento. Può sembrare strano ma – testualmente – l’authority nel suo statuto prevede che solo “tre commissari possano appartenere allo stesso partito politico”. La situazione è quindi questa: Biden a gennaio dovrà indicare il nuovo presidente della Fcc. Che dovrà però essere ratificato da un voto del Senato. Che può anche respingere l’indicazione del presidente.
In attesa della nomina del massimo vertice, la Fcc continuerebbe a lavorare con quattro commissari (oltre a Nathan Simington, l’ultimo “regalo” di Trump, il mandato degli altri tre non scade a gennaio) ma con una situazione che vedrebbe uno stallo completo: due democratici e due repubblicani.
Un pareggio che impedirebbe qualsiasi misura. Non solo la reintroduzione della neutralità della rete ma anche le norme sollecitate dalla componente più radicale dei democratici: che con le scuole chiuse per la pandemia e con centinaia di migliaia di lavoratori in smartworking, chiedono provvedimenti urgenti per “garantire ai più deboli” connessioni veloci e a basso prezzo. Almeno fino alla fine dell’emergenza.
Inimmaginabile che possa passare qualcosa di simile con la Fcc bloccata sul due a due.
Ed ecco perché tutto dipende dalla Georgia. Dove fra poco si vota al ballottaggio per due seggi al Senato. Nel caso se li aggiudicassero i democratici, in aula ci sarebbe un ulteriore pareggio: 50 a 50. Ma col voto della Harris, vicepresidente, i democratici avrebbero la maggioranza, seppur risicata. E potrebbe votare la nomina del nuovo presidente della Fcc.
Tutto molto complicato, quindi. Con una variante però, fin qui poco considerata. Che proprio in questa settimana, una pattuglia di senatori democratici – e non solo i soliti nomi che vengono indicati come esponenti dell’ala radicale – ha organizzato incontri telematici chiedendo a tutte le organizzazioni della società civile di mobilitarsi.
Per provare ad imporre, dal basso, quel che le pastoie legislative potrebbero bloccare. Ed è una novità anche questa.
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