Tramontata ogni follia secessionista, archiviate le fantomatiche macroregioni torna sulla scena l’autonomia regionale, questa volta nella versione «differenziata». Ne ha parlato il neoeletto presidente della Camera Lorenzo FontanaNel suo discorso di insediamento riprendendo un cavallo di battaglia della Lega che pur non essendo più Lega Nord torna ai suoi vecchi slogan.

Una conferma viene indirettamente dalla nomina di Roberto Calderoli a ministro per gli “Affari regionali e Autonomie”. La stessa Giorgia Meloni ne ha parlato alla Camera nel discorso con cui ha chiesto la fiducia al Parlamento.  Il rapporto tra Stato e Regioni è sempre risultato difficile; ogni tentativo di regolamentarlo non ha raggiunto gli obiettivi auspicati e ha spesso creato nuove complicazioni.

Nel 2001 è stata approvata la riforma della Costituzione, e in particolare dell’articolo 117, votata con una maggioranza strettissima di 4 voti, mentre la riforma approvata nel 2005 dalla maggioranza di centrodestra è stata bocciata dal referendum confermativo del giugno 2006.

Ero in Parlamento in quelle due occasioni e ho votato convintamente contro quelle che ritenevo, e che si sono dimostrate, vere e proprie controriforme che non solo non hanno risolto il problema principale del rapporto tra Stato e Regioni, ma lo hanno peggiorato. Basti pensare al tema delle “materie concorrenti” che hanno determinato solo lentezze, conflitti e ricorsi alla Corte Costituzionale per superare divergenze, litigi, tempi sempre più lunghi, anno dopo anno.

Ecco perché sarebbe urgente l’unica soluzione possibile ed efficace: distinguere chiaramente le competenze statali da quelle regionali ed eliminare, o ridurre il più possibile, le materie, decisamente prive di senso, di legislazione concorrente tra Stato e Regione. La chiarezza dei ruoli e delle competenze è fondamentale per evitare, come ci ricorda la nostra Costituzione e ci chiede l’Unione europea, ulteriori divari e diseguaglianze tra nord e sud, tra Regione e Regione.

In questo contesto è ben difficile non ritenere decisamente peggiorativa la proposta di “autonomia differenziata” tra che prevede competenze diverse tra le nostre 20 regioni, con relativa differenza di fondi, competenze, mezzi e strumenti a disposizione; forte sarebbe il rischio di una ulteriore profonda disparità in settori decisivi della nostra società, a partire dalla sanità, dalla scuola, dal lavoro e dalla formazione.

Ecco perché è del tutto condivisibile il grido di allarme lanciato dal Presidente della Cei, Cardinale Matteo Zuppi, secondo cui “l’autonomia differenziata danneggia l’Italia, ci vogliono logiche di inclusione e non di esclusione”. L’Arcivescovo di Bologna mette in evidenza il punto nevralgico. L’autonomia differenziata “genera disparità ancora più evidenti e che possono solo acuirsi in un quadro di sofferenza economica come quello che attualmente stiamo vivendo”. Non siamo quindi in presenza di un possibile passo in avanti ma, al contrario, di un indubbio passo indietro come hanno ricordato numerosi interventi che vanno in tale direzione che, però, non hanno finora trovato la necessaria condivisione.

Non è possibile accettare, e neppure ipotizzare, ulteriori divisioni e differenze tra parti del nostro territorio. E’ fondamentale invece rafforzare il rapporto, che già solo in parte esiste, tra i nostri territori e i nostri “campanili” e i numerosi “campanili” dell’Unione europea. È questo l’orizzonte a cui dobbiamo guardare.

Lo si è visto in questi ultimi anni. L’Europa deve fare certamente molti passi avanti, ma quando c’è stato bisogno di ripartire dopo la pandemia ci si è rivolti alle istituzioni comunitarie che hanno stanziato 750 miliardi di euro, di cui oltre 200 per l’Italia, con il piano Next Generation Ue. Lo stesso vale per il piano Sure da 100 miliardi che ha permesso al nostro Paese di contrastare le conseguenze del Covid sui lavoratori finanziando ad esempio la cassa integrazione in deroga.

La prospettiva deve essere quindi quella di un Paese unito e solidale che, dal Nord al Sud e/o dal Sud al Nord, si confronta con l’Europa senza rinchiudersi in rivendicazioni territoriali che sicuramente lo indebolirebbero. Ad essere danneggiato alla fine sarebbe non solo il Sud o il Mezzogiorno ma anche, e soprattutto, il Nord che da sempre ha una vocazione, anche economica, che guarda fuori dai nostri confini.

Un’Italia divisa e conflittuale, come quella caratterizzata dall’autonomia differenziata, sarebbe non solo più ingiusta e più povera, ma anche meno credibile e quindi più debole.

 

*Vice Presidente Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo