Le radici del presente. Alla vigilia di un 25 aprile che vede per la prima volta alla guida del governo della Repubblica gli eredi del neofascismo, l’importante opera della storica Michela Ponzani («Processo alla Resistenza», Einaudi, pp. 234, euro 28) acquista una forza e un’urgenza inedite.

Docente a Tor Vergata, conduttrice di programmi culturali per Rai Storia, e già autrice di testi significativi sulla memoria dei partigiani, Ponzani ricostruisce la stagione del lungo dopoguerra che ha visto affermarsi la prospettiva della «continuità dello Stato», il ritorno degli ex fascisti in molti settori decisivi dell’apparato pubblico e la messa sotto accusa, spesso anche nelle aule giudiziarie, degli appartenenti alle formazioni della Resistenza.

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Un contesto, per molti versi all’origine di quell’humus revisionista che ancora oggi alimenta le posizioni delle destre del nostro Paese, che si nutriva di una serie di falsificazioni della portata stessa della evidenza partigiana.

Dall’idea che la Resistenza non sarebbe stata necessaria per la Liberazione del Paese, «tanto ci avrebbero liberato gli Alleati», alle «azioni partigiane equiparate ad atti di terrorismo (vedi via Rasella)», fino alla lettura dell’8 settembre «come tragica disfatta morale», «il bisogno di ricordare altre tragedie nazionali, come le foibe o le violenze perpetrate dai partigiani di Tito, contrapposte alle stragi nazifasciste (sulla base di un bizzarro revanscismo dall’ottica compensativa)», l’enfasi posta sull’uccisione «dei vinti» nel dopoguerra, argomento prediletto dai bestseller di Giampaolo Pansa.

Per finire con «la richiesta di riabilitare alcuni militi della Rsi, trasformati in legittimi belligeranti (secondo una proposta di legge presentata nel ’94 da An e mai andata in porto)». Affrontando tappa dopo tappa il modo in cui dopo il ’45 l’esperienza partigiana fu almeno in parte «criminalizzata», Ponzani rintraccia così la genesi di miti e luoghi comuni «anti-resistenziali» che a quanto pare pervadono ancora il dibattito pubblico.