La spallata di Gantz non abbatte Netanyahu
Patto di sangue Il passo indietro del leader centrista non preoccupa il premier che piuttosto deve guardarsi dagli ultranazionalisti desiderosi di potere
Patto di sangue Il passo indietro del leader centrista non preoccupa il premier che piuttosto deve guardarsi dagli ultranazionalisti desiderosi di potere
Il giorno dopo le dimissioni di Benny Gantz e l’uscita, domenica sera, del leader centrista dal gabinetto di guerra, la maggioranza di destra religiosa è apparsa solida e decisa ad andare avanti, sotto la guida di Benyamin Netanyahu. Nessuna sorpresa. Gantz, un ex capo di stato maggiore, dopo l’attacco di Hamas nel sud di Israele si era aggiunto alla compagine governativa solo per la conduzione dell’offensiva militare contro Gaza. Forte del suo passato di generale ha goduto, e gode ancora, della considerazione di larghi settori dell’opinione pubblica in aggiunta al fatto che era l’unico membro dell’esecutivo a non aver avuto un ruolo diretto nel «fallimento del 7 ottobre». I seggi del suo partito però non sono mai stati determinanti per la stabilità del governo.
Lo scossone di cui si è parlato per settimane non è avvenuto e la maggioranza di destra al potere, per ora, non ha molto di cui temere alla Knesset. Eppure, secondo Canale 14, la rete televisiva più a destra di Israele, ciò che osserviamo in queste ore è solo una calma apparente. La «sinistra», riportava ieri la tv, avrebbe elaborato un «piano» per conquistare il paese e rovesciare il primo ministro. Su Zoom, secondo la tv ultranazionalista, l’attivista Moshe Redman e i suoi compagni avrebbero discusso di tre fasi da attuare nelle strade di Israele: manifestazioni di protesta; disobbedienza civile; scioperi generali quotidiani. Viene da sorridere di fronte a questo «allarme». Redman neppure immagina di avere nelle sue mani il «destino di Netanyahu». E poi in Israele da un anno e mezzo non si fa altro che manifestare in massa: contro la riforma giudiziaria, per la liberazione degli ostaggi a Gaza, per le elezioni anticipate e il premier è sempre al suo posto.
Le dimissioni di Gantz che nei desideri di molti avrebbero dovuto rappresentare la spallata decisiva al governo, non hanno scalfito il primo ministro. Netanyahu non vacilla, anzi il passo indietro del suo principale avversario (nei sondaggi d’opinione) gli ha fatto un favore perché ha rimosso dal gabinetto di guerra un alleato prezioso dell’Amministrazione Biden. Certo, il premier non ha potuto evitare di esortare in pubblico Gantz a riconsiderare la sua decisione. «Israele è impegnato in una guerra esistenziale su diversi fronti. Benny, questo non è il momento di abbandonare la campagna. Questo è il momento di unire le forze», ha scritto su X con finto dispiacere. E, proponendosi come comandante in capo, ha aggiunto: «Cittadini di Israele, continueremo fino alla vittoria…La mia porta rimarrà aperta a qualsiasi partito sionista che sia pronto ad assisterci nel portare la vittoria sui nostri nemici e garantire la sicurezza dei nostri cittadini». Ma l’appello a Gantz è stata solo apparenza.
Netanyahu in cuor suo ringrazia il leader centrista. Adesso sente di avere le mani libere. L’unica vera insidia gli viene dalle uscite senza freno dei suoi alleati di estrema destra, il ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich. Il primo preme per prendere il posto di Gantz nel gabinetto di guerra. Il secondo invoca misure punitive durissime contro l’Autorità nazionale palestinese (Anp) di Abu Mazen per provocarne la caduta, con la motivazione che sarebbe una struttura «alleata di Hamas», anche se la realtà è l’esatto contrario. «Siamo riusciti a contrastare la creazione di uno Stato palestinese…speriamo ora che l’uscita di Gantz dal governo ci permetta di agire in modo più determinato contro l’Anp», ha auspicato Smotrich. Ben Gvir ha parlato di una «grande opportunità». «Chiunque chieda di bombardare Gaza e fermare l’ingresso dei lavoratori palestinesi (in Israele) dovrebbe essere un membro del gabinetto di guerra. Questa è una grande opportunità per farsi avanti e conquistare la vittoria». Netanyahu non è lontano da queste posizioni, ma deve contenere gli ultranazionalisti che con i loro proclami rischiano di complicargli le relazioni già difficili con l’Amministrazione Biden e alcuni paesi europei. Per le stesse ragioni sa che non può continuare l’offensiva militare a Gaza – e una eventuale guerra in Libano – assieme a Ben Gvir e Smotrich. Per questo potrebbe decidere di smantellare il gabinetto di guerra e prendere le decisioni riguardanti le operazioni militari all’interno del più largo gabinetto di sicurezza.
Un’altra complicazione per il premier saranno le prossime decisioni del ministro della Difesa Yoav Gallant, che spesso ha agito in aperto contrasto con la linea di Netanyahu. Di recente ha anche messo le mani in avanti, escludendo che le forze armate possano essere impiegate per governare Gaza al posto di un esecutivo «civile» nel cosiddetto dopo Hamas. Gallant pensa esattamente ciò che Gantz pensa del primo ministro e nelle ultime settimane la sua posizione si è rafforzata. Ma non abbandonerà il Likud, il partito di maggioranza relativa guidato da Netanyahu, nonostante le esortazioni di Gantz.
Il dubbio sulle mosse di Gallant è legato anche al voto alla Knesset che abbasserà a 21 anni, rispetto agli attuali 26, l’età di esenzione dal servizio militare per gli studenti delle scuole religiose, rinviando e limitando il loro tasso di arruolamento nelle Forze armate. L’opposizione è contro il disegno di legge fortemente sostenuto da Netanyahu che non intende incrinare i rapporti con i partiti religiosi ultraortodossi suoi alleati. Ma anche all’interno della maggioranza e dello stesso Likud l’esenzione genera malumore perché, agli occhi della maggioranza degli israeliani, decine di migliaia di soldati e riservisti combattono a Gaza e al confine con il Libano mentre i giovani religiosi proseguono gli studi. Gallant non vuole l’esenzione e, secondo alcune voci, ieri sera sembrava intenzionato a votare contro il disegno di legge, mettendo in difficoltà Netanyahu.
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