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La solitudine degli studenti davanti al potere

La solitudine degli studenti davanti al potere – foto Ansa

Università in lotta Lo spettacolo si ripete. Manganelli sugli studenti giovanissimi, mentre è chi governa a lamentarsi per la censura. Media e politica recitano la loro parte: il coro in una commedia dell’assurdo […]

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 15 maggio 2024

Lo spettacolo si ripete. Manganelli sugli studenti giovanissimi, mentre è chi governa a lamentarsi per la censura. Media e politica recitano la loro parte: il coro in una commedia dell’assurdo con spettatori passivi e critici acquiescenti.

Il potere interpreta anche la parte della vittima del potere. A chi contesta il potere non resta alcun ruolo. Va in scena la neutralizzazione del conflitto attraverso la sua sussunzione; la delegittimazione di una delle parti si accompagna all’assegnazione del suo ruolo all’altra parte. Una sorta di recita ventriloqua a senso unico.
La solidarietà non è ai ragazzi e alle ragazze picchiati, in corteo a mani nude, ma ai poliziotti in assetto antisommossa. L’asimmetria di forza fisica è plasticamente evidente e traduce la pretesa – illegittima – di chi detiene il potere di restringere e negare il diritto di riunione, come diritto di manifestare contro il potere; un diritto che è, in primo luogo, di chi non ha il potere e contro chi lo detiene.

Lo ricordiamo, ancora, ostinatamente: un corteo non deve essere autorizzato, ma semplicemente deve «essere dato preavviso alle autorità»; non è una concessione ma un diritto; chi lo vieta deve addurre «comprovati motivi» riconducibili alla sicurezza o all’incolumità pubblica per vietarlo o restringerlo; chi lo esercita deve solo farlo «pacificamente e senz’armi» (articolo 17 della Costituzione).

L’asimmetria di potere è la stessa che appare, traslata sul piano verbale, quando una ministra grida alla censura a fronte della contestazione di trenta persone. E non regge l’obiezione garantista, in sé condivisibile: deve essere tutelata sempre a tutti la possibilità di esprimersi. Primo: contestare non equivale a impedire di parlare. Secondo: se il diritto di manifestare il proprio pensiero vale in ogni occasione e per tutti, ne consegue che spetta anche a chi contesta. Terzo: se un bilanciamento vi deve essere, occorre dare il giusto peso al fatto che i diritti rappresentano un presidio contro il potere e, quindi, se un pericolo vi è per i diritti è in primo luogo quando non sono garantiti dal potere, non al potere. Quarto: i diritti vanno considerati – la Costituzione lo insegna – nel loro contesto, storicamente, valutando, quindi, le rispettive posizioni.

La contestazione, anche accesa, a un ministro è parte di una dialettica politica. La democrazia non è pacificazione forzata ma confronto pacifico. Cartelli, parole, fischi non sono armi. La democrazia non è omologazione ma espressione delle differenze al netto delle diseguaglianze. Nel caso della minestra Roccella si somma la pretesa di silenziare le differenze alla volontà di non considerare la diseguaglianza delle posizioni, così riproducendole e incrementandole. È l’opposto di quello che prescrive la Costituzione: tutela delle diversità e rimozione delle diseguaglianze. Quando chi protesta è parte debole dovrebbe avere lo schermo dei diritti a sua difesa contro il potere.

Diritti e limitazione del potere, il cardine del costituzionalismo, sono invece preda di un governo onnivoro, che mira a concentrare il potere (il premierato) e ad asservire i diritti. I diritti con una eterogenesi dei fini divengono non più limite al potere ma strumento del potere: divorano se stessi. Distorti e asserviti a uso di chi detiene la forza e che si propone anche come parte debole. Vittima e insieme carnefice.

È lo stesso meccanismo usato da Israele: le vittime civili israeliane del 7 ottobre sono vittime, ma nel conflitto israelo-palestinese Israele non è la vittima. Chi da anni pratica politiche coloniali, ora brutalmente genocidiarie, chi esercita sopraffazione, non può essere considerato la vittima, ma Israele si impone come tale e un mondo colluso lo accetta. Preciso: il termine «vittima» può essere fuorviante. Gli studenti che manifestano, i palestinesi che rivendicano il diritto di esistere, sono soggetti attivi, non il mero riflesso di azioni altrui. Sono persone che hanno scelto di stare da una parte e si sono assunte la responsabilità di non lasciare che questi anni passino alla storia – se l’umanità permetterà a se stessa di avere un futuro – come l’età delle guerre, della violenza, della metamorfosi delle democrazie nella caricatura di se stesse, nell’ignavia dei molti, senza nessuno a «dire no».

Sono consapevoli e determinati e dalla parte giusta della storia, loro lo sanno e lo sa anche chi, negando spazi, reprimendo e denigrando, tenta in ogni modo di impedire che siano ascoltati. Non lasciamoli soli a dire la verità al potere.

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