Nei manuali di storia le donne protagoniste nel periodo del basso medioevo e della prima Età moderna – ma il discorso vale anche per altri periodi – si contano sulle dita di una, al massimo due mani. Assenti, ignorate eppure non inesistenti.

Se, infatti, nella documentazione pubblica sono rari i riferimenti a loro, compaiono invece in gran numero nel materiale notarile, un mare pescosissimo dal quale, dopo un’immersione che richiede tempo e conoscenze specifiche, si riemerge con notizie di donne che viaggiano, vendono, comprano, offrono pegni, fanno donazioni o testamenti. Anche nel materiale giudiziario appaiono numerose, e non solo come vittime di soprusi.

L’impegno oggi della storiografia più avvertita è quello di restituire l’immagine di questa ampia partecipazione, superando la formula dei «medaglioni» di isolate donne illustri. A ben guardare, intorno alla figura di Matilde di Canossa, quasi re, donna per eccellenza potente, si scorgono altre figure femminili, dalla madre, Beatrice di Lorena, alla suocera di Enrico IV, Adelaide di Susa, che ebbero ruoli politici non marginali.

SI TRATTA DUNQUE di rendere le scene più popolate, di scoprire socie e comprimarie allargando al massimo l’orizzonte dello sguardo, fino a comprendere il mondo ebraico e le donne che ne facevano parte. Dunque, aguzzando l’occhio e superando pregiudizi, le donne si riescono a vedere. Anzi, si può scoprire che erano preparate e sapevano agire autonomamente, non solo da vedove o per conto dei figli, e che in buon numero hanno attorniato le «soliste» ancora in parte malnote: come Gracia Nasi. Ebrea influente nata in Portogallo nel 1510, dove la sua famiglia dalla Spagna aveva trovato rifugio dopo l’editto di espulsione degli ebrei del 1492, ebbe una vita caratterizzata dall’erranza, che però non compromise la sua elevata capacità di azione in campo economico, culturale e religioso.

Dal Portogallo passò ad Anversa, dove già vivevano molti ebrei. Sposata a un ricco mercante e rimasta poi vedova, ne continuò l’attività e, quando morì anche il cognato, divenne l’indiscusso capo della famiglia e di quanti le ruotavano intorno.

Da Anversa si spostò a Venezia, quando un discendente della casa reale mise gli occhi su sua figlia aspirando verosimilmente al loro patrimonio. Lei, la sua famiglia e quanti la circondavano, già in Portogallo si erano dovuti convertire al cristianesimo, diventando marrani ma rimanendo ebrei nel profondo e dovendo convivere con questa doppia identità fra mille pericoli, uno dei quali era proprio quello di matrimoni con cristiani, con conseguente perdita, nei figli che ne sarebbero nati, dell’identità ebraica. A Venezia fu accolta, con il suo gruppo, assai favorevolmente, in quanto ricca e influente poi, anche a seguito di un forte contrasto con la sorella forse tentata dall’integrazione, lasciò Venezia per raggiungere nel 1549 Ferrara, dove fu consentito a lei e quanti erano con lei di tornare all’ebraismo.

Pochi anni prima l’emanazione della Bolla Cum nimis absurdum aveva decretato l’espulsione degli ebrei dai territori della Santa Sede. Ma Ferrara non faceva parte delle terre pontificie. Gracia poté così dedicarsi, oltre che agli affari, al restauro della cultura e della religiosità ebraica, che molto aveva patito per l’obbligo alla conversione.

EPPURE ANCHE A FERRARA l’accettazione degli ebrei non durò a lungo. Forse consapevole dell’imminenza del pericolo, Gracia preparò un’ulteriore partenza. Questa volta verso la Turchia, dove il sultano si aspettava vantaggi dalla loro accoglienza. Mentre in Italia avevano luogo cacciate e violenze nei confronti del suo popolo, nel 1553 Gracia arrivò a Costantinopoli, dove rimase fino alla morte nel 1569, professando la sua religione e occupandosi sempre di più dei suoi correligionari, soprattutto dei meno privilegiati.

A Costantinopoli ha continuato a esistere a lungo una sinagoga dedicata a lei, «la Señora», alla quale si deve anche l’idea di acquistare una città in Palestina, Tiberiade, nella quale gli ebrei potessero vivere da ebrei. E se la voce di Gracia, grande «solista», a noi non risulta molto familiare, figurarsi cosa sappiamo del «basso continuo» del vasto coro femminile di quel tempo.

Si scoprirebbe la verità di una delle straordinarie notazioni di Christine de Pizan, prima intellettuale di professione a cavallo tra XIV e XV secolo, contenute ne La città delle dame: se ci fosse l’uso di istruire le bambine come si istruiscono i bambini, imparerebbero le stesse cose.

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SCHEDA. Il Festival dal 15 al 17 giugno

Maria Giuseppina Muzzarelli interverrà domani alle ore 10.30 al Palazzo Romagnoli di Forlì, nell’ambito dell’avvicinamento al Festival che, nella sua terza edizione, sarà dal 15 al 17 giugno. Direttrice artistica è Eleonora Mazzoni. Le prossime anteprime sul sito: https://festivalcaterinaforli.it