Aleksander Etkind è docente di Storia allo European University Institute di Firenze. Nato a San Pietroburgo, ha insegnato per molti anni a Cambridge. È autore di numerosi lavori, fra i quali Internal Colonization: Russia’s Imperial xperience (2011) e l’ultimo Nature’s Evil: A Cultural History of Natural Resources.

Aleksander Etkind

A sette mesi dall’ordine di invadere l’Ucraina i piani di guerra di Putin sembrano sempre più confusi. Venerdì ha accusato le élite occidentali di avere un approccio colonialista, dopodiché ha firmato i decreti per annettere le regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson. A prima vista la contraddizione è evidente.

Putin e la sua cerchia sono convinti che la Russia sia un impero. La Russia oggi si comporta in effetti come un impero nel pieno della decadenza.

La guerra di Putin è sicuramente fatta di imperialismo e revanscismo. Nei secoli passati chi costruiva un impero non sapeva quasi mai che cosa avrebbe trovato nelle nuove terre. Pensate a Colombo che crede di raggiungere l’India e arriva nelle Americhe.

I revanscisti, al contrario, cercano di ottenere qualcosa che prima possedevano, e che poi hanno perduto. È il caso della guerra in Ucraina.

La storia della Russia, ha ricordato in uno dei suoi libri, «Internal Colonization», è la storia di un paese che colonizza se stesso. Crede che questo sistema di pensiero influenzi Putin?

Quell’analisi è valida per spiegare che cosa accade in Cecenia, in Tatarstan, oppure in Siberia. Ma nella guerra in corso affrontiamo una questione dirimente. L’Ucraina non fa parte della Federazione russa. Ci sono confini legalmente riconosciuti.

Per questo parlo di revanscismo. I conflitti di questo tipo possono anche portare a successi tattici, ma si concludono sempre con sconfitte strategiche.

È vero, però, che oggi in Russia l’espansione dei confini corrisponde al restringimento delle libertà individuali, una conseguenza dell’autocolonialismo di cui lei parla nei suoi lavori.

È una caratteristica che si verifica frequentemente nelle dinamiche di espansione. Sono due facce della stessa medaglia.

Usare l’esercito è estremamente costoso. Parliamo di un miliardo di dollari al giorno. Qualcuno deve pagare. Chi paga? I popoli del Caucaso e della Siberia con i loro uomini e con le risorse naturali. Sono loro i proprietari del gas e del petrolio che la Russia vende alla Germania, all’Italia oppure alla Polonia. Eppure non hanno il controllo delle loro risorse.

Il denaro arriva a Mosca ed è lì che è suddiviso. Lenin definì la Russia imperiale una prigione di popoli. Per certi versi è così ancora oggi.

Il politologo Francis Fukuyama ha detto ieri che «un crollo di grandi dimensioni» attende la Russia nei prossimi giorni. Lei crede a questa possibilità?

Nessuno conosce il futuro. Parlarne significa procedere per congetture, e Fukuyama come sappiamo ne ha fatte tante nella sua carriera. Penso, tuttavia, che la guerra in Ucraina possa condurre in prospettiva al collasso della Federazione russa, che è una comunità complessa e artificiale con disuguaglianze sempre più evidenti.

All’orizzonte vedo un processo di defederalismo. Quel che distingue un impero da una federazione è la natura volontaria dell’accesso oppure dell’uscita da quest’ultima. Secondo la mia ipotesi, gli apparati locali prima rivendicheranno l’autodeterminazione, poi faranno ricorso alla secessione.

La Russia esisterà ancora, ma avrà una nuova forma geografica, economica e quindi politica. La Federazione lascerà il posto a molteplici soggetti autonomi. Alcuni saranno democratici, altri autoritari. Di sicuro saranno più legati ai loro vicini su temi come sicurezza ed energia che ai vecchi centri di potere. Nuovi equilibri etnici e religiosi potrebbero portare, poi, ad altre guerre in alcune di queste regioni.

Quale scenario potrebbe verificarsi in Russia? Crede che nel paese le forze conservatrici siano sempre e comunque destinate a imporsi?

Guardo alla Russia come a un paese di estremi, non di conservatori. Oggi governano forze di estrema destra. Nel prossimo futuro potrebbe instaurarsi un regime politico di estrema sinistra. Sempre Lenin alla vigilia della Rivoluzione andava dicendo che la Russia avrebbe dovuto trasformare la guerra imperialista in una guerra civile, e così avvenne. Naturalmente nessuno oggi vorrebbe assistere a questo passaggio. Se dovesse accadere la responsabilità sarebbe di Putin.

Lei ha definito l’oppositore Alexei Navalny «eroe del nuovo tempo». Crede davvero che Navalny potrebbe emergere in futuro come leader politico? In quali condizioni?

La condizione principale è che rimanga vivo. Navalny non è certo Gramsci, non è un uomo di pensiero. Ma in carcere ha dimostrato di avere un’idea politica e di riuscire a correggere gli errori che ha commesso in passato. La guerra lo ha fatto ricredere, per esempio, sul favore con cui aveva accolto nel 2014 l’annessione della Crimea.

Questa settimana, in un documento pubblicato dai maggiori quotidiani americani, ha proposto per il futuro della Russia la forma della democrazia parlamentare. Personalmente sarei felice se le elezioni si tenessero fra un anno, e se lo stesso Navalny potesse partecipare e magari vincere. Ma credo realisticamente che sia necessario molto più tempo.