Non ci vogliono 40 giorni, ci vogliono 40 anni per capire che si è state vittime di una violenza, per riprendersi da quella violenza, per capire cosa è successo, per riprendere confidenza con il proprio corpo, con la propria pancia. Ci vuole coraggio, confidenza, aiuto.

Bisogna avere la forza di pensare: «Non è colpa mia se mi sono trovata in una situazione sbagliata». Bisogna non sentirsi sbagliate. Trovare il coraggio di lavarsi, sentirsi integre di nuovo, di parlare, di chiedere a una madre, una sorella, un’amica: accompagnami a denunciare.

Succede per molto meno.

A volte ci troviamo in situazioni imbarazzanti da cui è difficile uscire, dove non credevamo di piombare, e bisogna averne davvero quaranta di anni e le spalle super larghe per ammettere che qualcosa era starato, che pensavamo di avere davanti un interlocutore e invece era una merda. Ci vergogniamo di ammettere che ci siamo cascate, ancora ancora e ancora. E quando dico «ancora» mi porto dietro secoli di donne prima di me, perché noi siamo fatte, forse, della stessa sostanza dei sogni, ma più sicuramente della stessa sostanza di quello che è accaduto a noi, alle nostre mamme e alle nostre nonne, ad Artemisia Gentileschi, a Teresa Mattei, a Franca Rame.

Il corpo è l’interfaccia con cui andiamo nel mondo, quando viene violato non abbiamo più niente per andare nel mondo. Sappiamo che quella ragazza è stata stuprata? No, lo stabilirà la magistratura. Possiamo esserle solidali totalmente già da adesso? Sì. Possiamo crederle totalmente fino a quel momento? Sì. E se possiamo, allora dobbiamo.

Lo stupro, perfino il sospetto di stupro, sono il crimine più odioso, perché è un crimine che non c’entra nulla con il sesso, c’entra con l’oggettificazione, la brutalizzazione dell’essere umano, c’entra con la disumanizzazione, con l’annichilimento della dignità della persona. E se non ti senti più persona, se non ti senti padrona del tuo corpo: dove vai, chi sei, perché la società dovrebbe accoglierti? Lo stupro è l’ultimo atto con cui le milizie peggiori marchiano i territori conquistati.

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Così io trovo coraggiosissime, esemplari, le giovani donne che denunciano. Brava, ragazza anonima che ti sei alzata in piedi davanti alla Giustizia e hai rivendicato il tuo posto in questa orrenda storia di maschi. Grazie, perché per ogni Creonte c’è un’Antigone.

La legge dà un anno di tempo e ce ne vorrebbero quaranta: quaranta giorni sono pochissimi, e chi sostiene il contrario non sa di cosa parla, non capisce nulla né vuole provarci, a capire. Purtroppo per noi tutti, a non capirne nulla, a fare un processo sommario, a tentare di ridimensionare il presunto reato, a infierire sulla presunta vittima non è stato un privato cittadino, ma il presidente del Senato, la più alta carica dello Stato dopo Mattarella. Sarebbe dovuto rimanere in silenzio. Avrebbe dovuto dire: «Ne prendo atto, mi rimetto all’iter previsto», invece.

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Hans Jonas, uno dei più grandi filosofi del Novecento, ne Il principio responsabilità dice che questo principio si basa sul rapporto altruistico, che l’Etica non si occupa più dell’agire dell’uomo ma dell’uomo che deve agire e indica tre figure che non possono prescindervi: dio, il capo di stato e il padre di famiglia (ovviamente intendendo anche la madre di famiglia, anche ogni carica rappresentativa dello stato); «estremizzando si può dire che la possibilità che si dia responsabilità costituisce la responsabilità preliminare».

Io non credo in dio ed evito di citarlo pure per chi ci crede. Restano le altre due figure, il padre di famiglia e il capo di Stato: secondo Jonas, Ignazio La Russa è inadeguato per entrambe.