Gop diviso e Trump «sconfitto». Slitta il voto sulla riforma sanitaria
American Psycho Trump predica ottimismo ma per la sua proposta alla Camera mancano i numeri
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Un giorno importante per l’America perché mostra le difficoltà in cui versano entrambi i partiti. Ed è una parziale sconfitta per Trump: il voto sulla riforma sanitaria è slittato, i repubblicani sono divisi e il pressing di Donald e i suoi fedelissimi non ha convinto gli scettici. Nelle stesse ore si discute per eleggere il nuovo giudice della corte suprema, Neil Gorsuch.
L’ABOLIZIONE della legge sanitaria è stato un cavallo di battaglia di Trump e lo ha avvicinato ai vecchi repubblicani; il problema è che la legge scritta dalla nuova amministrazione è impresentabile e scontenta tutti. Anche la base repubblicana dichiara ora di preferire l’Obamacare alla nuova legge, e l’ha fatto tramite fax, mail, sms ai propri rappresentanti al congresso e tramite i membri del congresso con i loro elettori. Trump, lunedì, durante un incontro a porte chiuse con il partito aveva avvertito che chi non voterà per la sua legge perderà il posto al congresso.
I cambiamenti proposti da Trump sono tre: l’abolizione dell’obbligo di avere un’assicurazione sanitaria, la sostituzione dei sussidi federali con delle detrazioni fiscali fino a un massimo di circa 4.000 dollari a persona all’anno, e la modifica dei criteri con cui assegnare le detrazioni; con l’Obamacare i sussidi sono distribuiti sulla base del reddito, mentre con la nuova legge il criterio sarebbe l’età. Non è detto però che un anziano sia automaticamente benestante, per cui la fascia sociale più penalizzata dall’introduzione della nuova riforma sarebbe proprio quella degli anziani (ma 55 anni bastano) a basso reddito che vivono in zone benestanti: praticamente gli elettori di Trump, impoveriti dalla crisi e dai cambiamenti globali e che invece sono la categoria che più ha beneficiato della legge di Obama.
LA RIFORMA PROPOSTA da Trump e appoggiata dal leader dei repubblicani Paul Ryan, non piace all’ala radicale del partito che la trova troppo simile a quella di Obama, mentre per l’ala dei moderati la nuova legge è drastica e non è chiaro fino a che punto danneggerebbe le fasce più deboli; è poi ovviamente osteggiata da tutti i democratici e anche dalle compagnie assicurative, che ormai si sono adattate al sistema dell’Obamacare.
I SOSTENITORI DELLA RIFORMA ribadiscono che è solo un punto di partenza che può essere aggiustato in corsa, ma votare questo punto di partenza mette davvero in cattiva luce i politici sotto i quali uffici, sin dalla mattina, si sono radunate folle di elettori inferociti, ed è difficile che si raggiungano i 216 voti necessari a far passare la legge. Un problema simile, anche se meno grave, lo hanno i democratici con l’altro voto importante, quello sull’elezione o meno di Gorsuch come giudice della Corte Suprema.
Dopo più di un anno durante il quale i repubblicani hanno fatto un ostruzionismo cieco al moderatissimo candidato di Obama a sostituzione di Scalia, i democratici vorrebbero mantenere la stessa linea dura con il candidato di Trump.
La differenza è che in nessun modo i democratici avrebbero potuto imporre il loro uomo, mentre i repubblicani, al momento hanno bisogno di una maggioranza del 60% per eleggere Gorsuch.
Secondo Politico, alcuni democratici avrebbero spinto per uno scambio con i repubblicani, non opponendosi all’elezione del loro candidato, e ricevendo la promessa di potersi giocare una nomina democratica nel caso dovesse ripresentarsi la necessità di un nuovo giudice.
Purtroppo per chi vorrebbe questa opzione, una votazione a favore finirebbe per scontentare anche la base democratica che da settimane manifesta contro ogni azione di Trump e che non vuole sentir parlare di nessun compromesso o gioco di palazzo.
In mattinata il leader della minoranza democratica al senato, Schumer, ha annunciato su Twitter il proprio voto contro l’elezione di Gorsuch e ha invitato i compagni di partito a fare altrettanto.
Ieri a Washington c’è stato anche il meeting della coalizione «anti-Isis». Presente anche il ministro degli esteri italiano Angelino Alfano: «il summit, ha detto, è un chiaro segno di impegno da parte degli Usa».
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