Il «Fisco amico» presentato dal governo come una riforma epocale attesa da anni e dai suoi avversari come un regalo agli evasori, altro non è che la piena realizzazione di un’egemonia, culturale e politica costruita nel tempo che attraversa classi sociali e schieramenti partitici.

Si tratta del lento compimento di quella «rivoluzione liberale» di cui parlava Berlusconi, almeno per quanto riguarda la sempre maggiore privatizzazione dello Stato: meno tasse e al tempo stesso meno servizi.

Gli ultimi dati Istat relativi alla disuguaglianza e i decreti attuativi sulla riforma fiscale indicano infatti un’unica tendenza. Un’unica direzione che non nasce con questo governo ma è da questo stata confermata, sulla scorta di quello precedente e di un’ideologia ormai più che trentennale che vede il pubblico come sempre inefficiente e corrotto e il privato come efficace e positivo in ogni caso e situazione.

È in questo quadro che bisogna analizzare la – pur molto contenuta – riduzione delle disuguaglianze testimoniata dal rapporto Istat, nonché le politiche fiscali del governo di Giorgia Meloni.

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Il taglio del cuneo fiscale attuato dal governo Draghi e voluto dalla sua larghissima maggioranza ha fatto guadagnare un piccolo aumento in busta paga ai lavoratori dipendenti, anche di reddito medio-basso. La riforma fiscale di Meloni favorisce invece gli autonomi, categoria molto variegata nel nostro Paese, poiché dietro a questa etichetta si nascondono tipi di lavoro e livelli di reddito molto diversi tra loro, dai precari della conoscenza ai liberi professionisti.

Il punto, come spesso avviene in economia, è il seguente. Di fronte a qualche categoria che ci guadagna, perlomeno sul breve periodo – e che fa guadagnare politicamente il governo e i partiti che lo sostengono, e in particolare Fratelli d’Italia – c’è chi ci perde. Ecco, chi paga? Innanzitutto i più poveri: il taglio del cuneo è stato finanziato anche con l’abolizione del reddito di cittadinanza. Una redistribuzione al contrario, non dall’alto verso il basso, ma dai più poveri verso i leggermente meno poveri.

In secondo luogo, e in modo più strutturale e quindi estremamente inquietante, queste misure sono e saranno finanziate tramite la riduzione della spesa. Dove riduzione della spesa pubblica significa riduzione dei servizi.

Non potendo aumentare il debito pubblico, già elevatissimo, l’unico modo per Meloni di finanziare la riduzione delle tasse è quello di tagliare i servizi. Il nostro debito è sottoposto infatti a un doppio vincolo: da un lato, l’aderenza ai trattati europei, che non ci permette di indebitarci ulteriormente, se non per effettuare riforme strutturali dirette verso la transizione digitale ed energetica.

Dall’altro, abbiamo un prodotto interno lordo che stagna, complice l’assenza totale di politica industriale, la struttura di un Paese fondato sulle piccole e medie imprese – le quali non hanno abbastanza massa critica per investire, innovare e quindi aumentare la produttività – nonché lo scarso desiderio politico, da parte della maggioranza di governo, di impegnarsi verso la transizione energetica.

Il passaggio verso l’economia privatizzata e la riduzione dello stato sociale non è però frutto del caso. Si tratta di una strategia pensata, voluta e cercata dalle destre fin dai tempi di Berlusconi, ed è ormai egemonica culturalmente ed elettoralmente nel paese. E l’attuazione della cosiddetta autonomia differenziata, ovvero la delega di responsabilità amministrative e di scelte politiche alle regioni, è perfettamente funzionale della messa in opera di questa strategia. Lo Stato centrale non dovrà direttamente tagliare la spesa. Basterà delegare alle regioni sempre più servizi – dalla sanità ai trasporti all’istruzione.

Le regioni, da canto loro, seguiranno l’esempio dei trent’anni di governo di centrodestra in Lombardia e altrove: privatizzare i servizi sanitari, le scuole, i trasporti, o perlomeno le parti più redditizie di questi servizi. Al pubblico resteranno solo i servizi meno remunerativi, la cui efficienza e qualità continueranno a declinare come hanno fatto negli ultimi decenni. Con buona pace di chi non potrà permettersi scuole, trasporti e sanità privata.