La riforma con il buco al centro
Equilibrismi In un sistema parlamentare, il presidente del Consiglio dei ministri (o comunque si chiami il vertice dell’esecutivo) può perdere la carica per venir meno del rapporto di fiducia con il […]
In un sistema parlamentare, il presidente del Consiglio dei ministri (o comunque si chiami il vertice dell’esecutivo) può perdere la carica per venir meno del rapporto di fiducia con il parlamento, per dimissioni volontarie, per decadenza, impedimento permanente o morte.
In un sistema parlamentare, il presidente del Consiglio dei ministri – o comunque si chiami il vertice dell’esecutivo – può perdere la carica: per venir meno del rapporto di fiducia con il parlamento (nella modalità dell’approvazione della mozione di sfiducia proposta dal parlamento o del rigetto della questione di fiducia posta dal governo) e conseguenti dimissioni obbligatorie; per dimissioni volontarie (la quasi totalità dei casi, in Italia); per decadenza, impedimento permanente o morte.
Cosa fare al verificarsi di uno di questi casi? È possibile rispondere in due modi opposti.
Da un lato, vi è l’ipotesi – sancita dalla Costituzione vigente – che il Capo dello Stato abbia sempre il dovere di verificare se il parlamento è in grado di conferire la fiducia a un nuovo governo, con la conseguenza che lo scioglimento anticipato delle camere è opzione percorribile solo in caso di stallo parlamentare.
Dall’altro lato, l’ipotesi è che in tutti i casi il Capo dello Stato abbia il dovere di sciogliere il parlamento e convocare nuove elezioni: ciò che vorrebbero i fautori della trasposizione a livello statale della forma di governo comunale.
Prescindendo dal fatto che nessun regime parlamentare adotta la seconda soluzione – per via della sua eccessiva rigidità, che rischia di trasformare in nuove elezioni qualsivoglia capriccio del leader del governo – le due posizioni offrono entrambe una risposta inequivoca alla domanda su come gestire una crisi. Esattamente quel che non fa la proposta governativa sul premierato.
Prendiamo in esame le singole cause di crisi alla luce del disegno del governo emendato nei giorni scorsi.
In caso di approvazione della mozione di sfiducia proposta dal Parlamento, il nuovo articolo 94, comma 6 della Costituzione prevede che il presidente della Repubblica obbligatoriamente sciolga le camere e indica nuove elezioni.
In caso di dimissioni volontarie del presidente del Consiglio, questi può scegliere se chiedere al Capo dello Stato di procedere allo scioglimento anticipato oppure se consentire di far nascere un nuovo governo guidato dallo stesso presidente del Consiglio uscente o da un parlamentare eletto tra le fila della maggioranza (qualora, poi, anche questo secondo governo dovesse cadere, al Capo dello Stato non resterà altra opzione che sciogliere le camere). È quel che prevede il nuovo articolo 94, commi 7 e 8 della Costituzione.
In caso di decadenza, impedimento permanente e morte, il presidente della Repubblica può valutare se procedere allo scioglimento anticipato o far nascere, sempre per una sola volta, un nuovo governo guidato da un parlamentare eletto tra le fila della maggioranza (nuovo articolo 94, comma 8 della Costituzione).
E in caso di venir meno della fiducia per bocciatura della questione di fiducia posta dal Governo? Sul punto il progetto di revisione governativa tace.
Occorre dunque cercare una soluzione in via interpretativa. Di certo, non è applicabile la disposizione di cui al nuovo articolo 94, commi 7 e 8, la quale precisa esplicitamente di valere solo in caso di «dimissioni volontarie», mentre le dimissioni conseguenti alla sconfitta del governo sulla questione di fiducia sono senza alcun dubbio obbligatorie (qualcuno lo spieghi alla ministra per le riforme Casellati): il che esclude che spetti al presidente del Consiglio sfiduciato scegliere tra lo scioglimento anticipato e il consentire al Capo dello Stato di provare a far nascere un nuovo governo. E si può dubitare che sia applicabile il nuovo articolo 94, comma 6, il quale precisa esplicitamente che l’obbligo di scioglimento delle camere vale solo per il caso della revoca della fiducia «mediante mozione motivata», così escludendo, a contrario, il caso del voto negativo sulla questione di fiducia.
Se ne deve concludere che nel caso in cui il governo perda nel voto sulla questione di fiducia, il presidente della Repubblica si verrebbe a trovare esattamente nella stessa posizione di oggi? E cioè che dovrà cercare di far nascere un nuovo governo, senza che sulle sue scelte gravino vincoli di sorta né con riguardo alla persona cui conferire l’incarico né in ordine al numero di governi che potranno nascere nel corso della legislatura?
Che si pretenda di riformare la Costituzione lasciando – colpevolmente o dolosamente – aperte incognite di tale portata è indice, tertium non datur, di un dilettantismo o di un cinismo senza pari.
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