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La resistenza legale dei latinos americani

La resistenza legale dei latinos americaniIl console generale messicano a New York, Diego Gómez Pickering

Intervista Parla il console generale messicano a New York, Diego Gómez Pickering: «Con Trump ciò che è cambiato è la narrativa, è cominciata l’epoca delle fake news. Con gli sportelli legali ora vogliamo combattere le frodi ai danni degli immigrati»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 18 aprile 2017

La presidenza Trump ha portato molti cambiamenti negli Stati Uniti, uno dei più interessanti riguarda l’apertura in tutti i consolati messicani su territorio americano di sportelli legali per migranti. «Esistono 50 consolati messicani in America – spiega in perfetto italiano il console generale messicano a New York, Diego Gómez Pickering – è la rete consolare più estesa del mondo, nata nel 1830, con l’apertura del consolato di New Orleans, quello di New York è il terzo più antico. La nostra è una pratica consolare che fa da modello per i Paesi con una grande popolazione oltre confine, come la Cina, l’India o il Marocco. Questi sportelli non sono una novità assoluta: da anni i cittadini messicani qui in consolato hanno la possibilità di confrontarsi con avvocati esperti in migrazione che li consigliano secondo il loro caso specifico».

Quindi cosa è cambiato?
Li abbiamo rafforzati. Negli Stati Uniti le leggi sulla migrazione sono sempre state complesse, per questo già avevamo degli sportelli legali, ora si è aggiunta la confusione. Con Trump ciò che è cambiato è la narrativa, è cominciata l’epoca delle fake news, delle notizie contraddittorie che si rincorrono. Con gli sportelli legali ora vogliamo combattere le frodi ai danni degli immigrati, che stanno diventando una pratica tristemente comune, e condividere con i cittadini messicani le informazioni vere. Ciò che è vero, a due mesi e mezzo dall’arrivo di Trump, è che le deportazioni non sono più numerose di quelle dei primi due mesi di Obama, ma ora le strutture che si occupano di migrazione, cioè il Department of Homeland Seurity, l’Immigration of Costum Enforcement e il Dipartimento di Giustizia, e gli ordini esecutivi che riguardano gli immigrati non hanno istruzioni chiare. Prima c’era una prassi sistematica, prevedibile e diciamo ordinata, ora c’è un’enorme confusione e molto è lasciato alla discrezionalità del singolo, non c’è uniformità nell’applicazione della legge.

Questi sportelli sono una tradizione consolare ma ora abbiamo più avvocati, più personale, facciamo più visite ai centri di detenzione, prima ne facevamo una al mese, ora una a settimana. Inoltre abbiamo una piattaforma comune con Honduras, Guatemala e Salvador, per cui dove non ci sono tutti i consolati di questi Paesi, ci si appoggia a chi tra i 4 è presente; c’è poi la coalizione dei consolati latino americani per confrontarci con i politici locali dove ci sono grosse comunità di nostri cittadini, legali o meno, perché sappiamo di avere un maggior impatto agendo uniti.

Sono solo i vostri cittadini a rivolgersi allo sportello legale del consolato Messicano?
No, arrivano anche cittadini di altri Paesi, e non solo per lo sportello legale. Abbiamo uno sportello medico dove poter misurare la pressione, i livelli basici nel sangue e dove si viene consigliati su dove trovare un’assistenza sanitaria gratuita o calmierata qua negli Usa. Ed anche questo indipendentemente dallo status legale o se si è messicani o meno. Abbiamo un grande network di istituzioni mediche con cui operiamo qua a New York e che si occupano di salute non solo fisica ma anche mentale. Ci sono poi corsi di inglese, sportelli informativi su come continuare un percorso di studi, diamo informazioni sulle università pubbliche.

Qual è il cambiamento più grande tra le due amministrazioni, Obama e Trump?
Adesso si criminalizza l’immigrazione, la narrativa sta diventano questa: immigrato uguale criminale, ed è molto pericoloso perché ha conseguenze a lungo raggio, e di questo parliamo spesso con il sindaco De Blasio e il governatore Cuomo. Eppure negli Usa ci sono 50 milioni di persone che parlano spagnolo come prima lingua, la popolazione ispanica continua a crescere. Demograficamente il Paese non è lo stesso di 50 anni fa.

Il problema del muro, quindi, non è il problema maggiore?
C’è già un muro al confine tra Messico e Usa costruito durante la presidenza Clinton, questa è una frontiera di più di 3000 chilometri e due terzi hanno già un muro, che non ha fermato il commercio, i rapporti tra le comunità frontaliere, le opportunità di crescita economica, e nemmeno la possibilità per i cittadini statunitensi di andare in Messico ed avere accesso alla sanità pubblica o a i ragazzi messicani di studiare nelle scuole private statunitensi. Se Trump vuol continuare e finire quel muro faccia pure, è sul suolo americano e lì può fare quello che vuole ma non sarà facile costruirlo, ci sono problemi di territorio, su quel confine passano parchi nazionali e il Rio Grande. Ogni giorno un milione di persone passa legalmente quella frontiera, e quel muro non fermerà le dinamiche di scambio tipiche della frontiera a livello umano, commerciale, economico e culturale. Noi pensiamo non sia appropriato fare un muro perché lancia un messaggio sbagliato, a tanti livelli, quando quello che dovremmo fare è far crescere il dialogo.

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