Migliaia di persone hanno sfilato ieri per le vie della città per chiedere la chiusura dell’ex Ilva, al grido «Taranto libera». La storica apecar dell’associazione Cittadini e lavoratori liberi e pensanti guidava il corteo. Seguivano genitori e tanti bambini, vestiti con tanti pesci colorati, a simboleggiare la bellezza del mare e della natura tarantina: «Sono l’onda del futuro. I bambini sono le prime vittime dell’inquinamento, è per loro che ci ribelliamo» spiegava Simona, mamma attivista dei Genitori Tarantini in corteo con suo figlio Andrea, 11 anni, che lotta contro una malattia rara. «Ho promesso a mio figlio una città migliore, a costo di sacrificarmi per dargliela».
La marcia è stata organizzata da tante realtà, una piattaforma di almeno 50 associazioni locali e nazionali, come la Campagna Per il Clima Fuori dal Fossile. Hanno aderito anche realtà transfemministe che sottolineano lo stretto legame tra violenza ambientale e di genere, capitalismo e patriarcato. Proprio le donne tarantine da sempre lottano in prima linea contro l’inquinamento.

Il lungo corteo ha sfilato pacifico e colorato fino al Parco archeologico delle Mura greche dove vari gruppi musicali si sono alternati. Ci sono i Lavoratori Metalmeccanici Organizzati: «Vogliamo chiudere tutti i processi produttivi incompatibili con la vita e la salute. I sindacati, prima del lavoro, devono mettere al centro la sicurezza dei lavoratori, noi lo facciamo. L’ Ilva di Taranto è la madre di tutte le battaglie e dobbiamo vincerla. Chiediamo di chiudere gli impianti già sequestrati dalla magistratura, chiediamo il riconoscimento dei benefici previsti in caso di esposizione all’amianto, forme di prepensionamento e risarcimento danni in base alla sentenza pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti Umani del 5 Maggio 2022, lo smantellamento e la bonifica tramite la formazione degli stessi lavoratori diretti e indiretti. Questo darebbe più lavoro di quanto lavoro dà ora l’Ilva. In realtà infatti da qualche anno non c’è neppure il ricatto occupazionale perché l’Ilva non garantisce lavoro. Più della metà dei lavoratori sono cassintegrati, la produzione è ai minimi e non è sostenibile nemmeno economicamente. Per essere in equilibrio dovrebbe produrre 6 milioni di tonnellate, proseguendo con incidenti e malattie» dice Antonio Ferrari, segretario dei Lmo.

Tante le associazioni culturali e per la promozione del turismo sacrificato dalla ingombrante presenza dell’acciaieria. I miticoltori: «Negli ultimi anni tra noi produttori ci sono stati 4 suicidi e tante aziende chiuse. Il mare di Taranto va salvato. Abbiamo già dato, ora basta». Ci sono associazioni educative come dis-education, che distribuiscono semi di girasole ai bambini da tirare in ogni pezzo di terra per fare rifiorire Taranto. Presente anche l’associazione dei Fotografi per passione, perché Taranto è anche tanto altro, al di là di quella immensa macchia nera e rossastra che si vede anche dal satellite. Perché ieri in strada? «Non siamo mai stati così vicini alla chiusura definitiva del siderurgico – la risposta degli organizzatori -. Quegli stessi interessi strategici che hanno contribuito ad ammazzare tutto il nostro territorio, stanno vacillando. I motivi affondano le loro radici in ambiti di mercato internazionale, di geopolitica europea e globale, dal cambiamento degli asset strategici per la produzione dell’acciaio in Europa, alla sentenza della Corte di Giustizia Europea prevista per aprile 2024 che riguarda la standardizzazione delle grandi industrie europee sulla cosiddetta “produzione Green”, fino all’azione inibitoria promossa presso il tribunale di Milano dei Genitori Tarantini, che a maggio dovrebbe esprimersi e potrebbe imporre la chiusura degli impianti».

Secondo Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, «questi impianti non si possono ammodernare. La promessa dell’ambientalizzazione è fallita, questo è dimostrato dal fatto che nel 2023 ci sono stati 32 picchi di benzene, più che in tutti gli anni precedenti». Si respira rabbia, esasperazione ma anche tanta allegria e speranza. «Ci hanno soffocato non solo con l’inquinamento ma anche mentalmente, ma ora noi la luce la vediamo e vogliamo finalmente il riscatto della città» sorride Mariella.