Tute bianche macchiate di rosso, maschere senza volto, persone distese sulle strisce pedonali come fossero morte, biciclettate lente, attraversamenti a più riprese delle strisce, presidi e flash mob, sono le mobilitazioni che in ogni angolo d’Italia da giorni chiedono lo «Stop al Codice della Strage». È la rivolta di ciclisti e pedoni, vittime per eccellenza della violenza stradale (l’80% dei morti nelle città sono utenti vulnerabili a piedi, in bici, bambini, anziani) e di tutti coloro che non vogliono più vedere le strade insanguinate.

Da sabato scorso oltre trenta città in tutta Italia, da Aosta a Lecce, passando per Roma, Genova, Milano, Jesi, Firenze, Napoli, Cagliari e tante altre, si sono unite alla protesta, contro il nuovo Codice della Strada in discussione in Parlamento. Ieri a Ferrara e a Bologna catene umane per difendere le corsie ciclabili cittadine costantemente invase dalle auto, mentre a Torino decine di persone si sono distese a terra (die-in) sulle strisce di attraversamento pedonale.

«Anche a Modena eravamo in tanti, non solo attivisti, tanta gente comune, anche bambini e anziani. Ci siamo disposti a testuggine romana, per proteggere i pedoni che attraversavano sulle strisce pedonali, che restano paradossalmente uno dei luoghi più pericolosi. A Modena lo scorso dicembre un pedone è morto ammazzato sulle strisce – ricorda Davide Paltrinieri, attivista della locale Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta) e referente di Modena30 – La normativa che stanno valutando in parlamento ignora il problema della velocità, eppure è il vero problema, bisogna ridurla e dare meno spazio alle auto, ridisegnare le città per renderle luoghi vivibili e non di morte».

Le manifestazioni sono state organizzate dalle associazioni familiari delle vittime sulla strada e altre associazioni locali e nazionali, tra cui Legambiente, Fiab, Salvaiciclisti, Kyoto Club, Clean Cities Campaign che hanno aderito alla piattaforma #città30subito. A detta delle associazioni questo Codice «riporterà indietro l’Italia di 40 anni dal punto di vista della sicurezza stradale e della mobilità sostenibile e la allontanerà ancora di più dagli altri Paesi europei dove i livelli di mortalità per incidenti stradali e per inquinamento sono già inferiori a quelli italiani».

Tra i familiari delle vittime c’è Angela Bedoni che ha perso la figlia Lucia, investita e uccisa da un Suv a Melegnano, Emanuela Bottardi che ha perso sua mamma a Cremona, uccisa anche lei da un Suv, Marco Scarponi che ha perso suo fratello Michele, ciclista, ad Appignano (An) mentre si allenava in bici, ucciso da un furgone.

Di storie come queste ce ne sono a decine di migliaia. Un paese di più di 3.000 persone ogni anno (3.159 vittime nel 2022) viene ucciso sulla strada, innumerevoli i feriti. E dietro ogni numero un volto, una famiglia distrutta. Marco Scarponi, presidente della Fondazione Scarponi, insieme ad altri familiari di vittime sulla strada hanno ieri inviato a Giorgia Meloni un video appello chiedendo di mettere in pausa l’approvazione del nuovo codice, per riscriverlo insieme alle associazioni.

«Con il nuovo codice della Strada, ci saranno più automobili e camion sulle strade urbane che potranno viaggiare più veloci, con meno limitazioni e controlli, diminuiranno gli spostamenti a piedi e in bici» denunciano cittadini e attivisti per la mobilità sostenibile durante le manifestazioni, con slogan e striscioni.

«In Italia ci rendiamo conto del grave problema della sicurezza stradale solo se ci tocca una tragedia da vicino – dichiara Marco Scarponi – È però un fatto storico e importante che tante persone chiedano strade sicure per tutti e tutte: per chi si muove a piedi o in bici, ma anche per chi è al volante».