Non si fa in tempo a protestare per il decreto Agricoltura e per la bozza sulle aree idonee per gli impianti rinnovabili che complicano il caos normativo e rallentano la realizzazione degli impianti fotovoltaici ed eolici, che spunta una notizia finora relegata nel novero degli annunci estemporanei: il ministro Pichetto Fratin riferisce di voler inserire l’energia nucleare nella versione definitiva del Piano nazione integrato energia e clima (Pniec), con obiettivi, tecnologie e date di realizzazione.

In realtà, con un comunicato diffuso in questi giorni, il Coordinamento Free, in rappresentanza delle associazioni di tutte le rinnovabili da un lato e le Associazioni ambientaliste Legambiente, WWF e Greenpeace dall’altro, chiedevano urgentemente l’intervento del governo per correggere la bozza di decreto sulle aree idonee, che nella sua versione attuale rappresenta un vero e proprio rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili rendendo pressoché impossibile raggiungere gli obiettivi imposti dall’Europa al 2030. Ora, al di là delle esternazioni, della evanescenza sotto il profilo della fattibilità tecnica e giuridica e soprattutto della valutazione dei costi, viene annunciato ufficialmente l’inserimento del nucleare nella nuova versione del Pniec, senza preavviso e soprattutto senza un confronto tecnico-economico puntuale e doveroso con gli operatori del settore. Il governo vuole produrre il 20% dell’energia elettrica necessaria per il 2050 tramite nucleare, il che significa 140 TWh all’anno, utilizzando la tecnologia degli Smr (Small Modular Reactor).

Considerato che 1 GW di nucleare produce 8 TWh all’anno, si sta parlando di installare 18 GW, cioè una cinquantina di reattori da 300 MW, senza dare minimamente conto dello stato tecnico-economico di una tecnologia che allo stato è presente solo in termini prototipali, inesistente dal punto di vista commerciale, con un annuncio che lascia molte perplessità e tante domande senza risposte.

A partire dal 2000, in 24 anni, in tutta l’Europa la nuova potenza nucleare installata ammonta a 3,2 GW. È questa una valutazione ottimistica poiché ammette che la centrale nucleare di Flamanville 3 possa essere pienamente operativa entro quest’anno. Il piano dell’Italia sarebbe quello di installare 18 GW, cioè più di cinque volte tutto quello che è stato installato nell’intera Europa negli ultimi 24 anni. Appare allora molto complicato, soprattutto se non di danno risposte ad una serie di interrogativi, mentre non potrà sfuggire ai più l’aspetto demagogico molto pericoloso della faccenda, che – visti gli elevati costi del nucleare, 4 volte quello delle rinnovabili – si riflette in una distrazione importante di risorse economiche per quelle tecnologie rinnovabili che almeno da qui al 2030 dovrebbero essere messe in campo.

A questo punto ci si dovrebbero prendere tutte le responsabilità in termini di fattibilità tecnica del processo di decarbonizzazione con proposte avventate e mai discusse. E per seguire un filo logico sorge spontanea la domanda: mentre si definiscono con un dettaglio esasperato, introducendo un fantomatico contrasto tra paesaggio e rinnovabili, le aree idonee per le rinnovabili, disquisendo sulla vastità delle aree di rispetto e impedendo installazioni in terreni agricoli mai coltivati negli ultimi trent’anni, nulla si dice sulle aree idonee per il nucleare che, qualche problemino in più effettivamente dovrebbero comportare. Infatti dove collocare 50 reattori nucleari in un Paese che, dopo tutto, ha preso una decisione importante sancita da ben due referendum?

Non vorremmo ripete una storia già vista: dichiarare questi impianti strategici, come è stato fatto per anni con il deposito delle scorie e come fu fatto per la strategia nucleare di Berlusconi di quindici anni fa. L’intento di definire «il quadro giuridico-regolamentare» rispetto al nucleare, includendo l’iter autorizzativo e la disponibilità dei territori, non può prescindere dagli abitanti di quei territori.

Questo tema dovrebbe esser un argomento unificante delle opposizioni appena uscite dalle urne europee: chiedere con determinazione ed urgenza una serie di risposte tecniche-economiche che suffraghino una decisione così dirompente.