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La premier si appella a Schlein: i socialisti votino per Fitto

La premier si appella a Schlein: i socialisti votino per FittoLa premier Giorgia Meloni e il governo al Senato

Il piatto piange Preoccupazione per le sorti del candidato italiano a Bruxelles, ma la leader Pd glissa. Attacchi ai 5S, scontro sulle armi a Israele

Pubblicato circa un mese faEdizione del 16 ottobre 2024

Sarcasmi, colpi bassi, battute a volte riuscite più spesso troppo facili, vanterie iperboliche, ruggiti comizianti alla Peppone e don Camillo. Nel dibattito parlamentare in vista del Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre parla la premier, parlano tutti i leader dell’opposizione ma è teatro a uso della propaganda. Non a caso l’opposizione si presenta con 5 mozioni al Senato e ben 6 alla Camera: ci si mette in mostra. Però c’è un’eccezione rilevante. Quando si accalora per l’imminente voto del Parlamento europeo sul commissario Raffaele Fitto, la premier non fa solo scena e non mira esclusivamente a mettere in difficoltà l’opposizione. È preoccupata davvero. Cerca di smuovere il Pd.

L’interesse nazionale deve prevalere su quello di partito e i socialisti non voterebbero diversamente da quel che vuole la loro delegazione italiana Giorgia Meloni

FITTO RISCHIA E RISCHIA a causa del gruppo socialista. In quel gruppo la delegazione più forte è quella italiana. Sta dunque al Pd, in nome dell’interesse nazionale e del rischio di passare per nemici della patria, convincere i compagni di eurogruppo a ripensarci: «Fitto votò per Gentiloni, Berlusconi chiese di partecipare a una commissione di cui non faceva parte per sostenerlo. L’interesse nazionale deve prevalere su quello di partito e i socialisti non voterebbero diversamente da quel che vuole la loro delegazione italiana. Mi aspetto che dica qualcosa in merito Elly Schlein».

ATTESA DELUSA. Schlein glissa: «Ascolteremo tutti i candidati, anche Fitto. Ma non montate in cattedra facendoci la lezione perché voi nel 2019 avete fatto un volantino contro Gentiloni e avete votato contro la commissione». Quel volantino alla premier era già stato rinfacciato da un esercito di parlamentari e sul voto lei stessa aveva marcato la differenza tra la posizione sul singolo commissario del proprio Paese e quella sulla commissione nel complesso. Ma la segretaria del Pd non vuole legarsi le mani. Il voto a favore di Fitto, come anticipato da Alfieri al Senato, probabilmente arriverà. I buoni uffici col gruppo socialista europeo invece no e anzi, se dovesse finire fucilato quello che Conte definisce «il meglio del peggio quindi pessimo» e che Schlein accusa di aver gestito male il Pnrr, il Pd probabilmente festeggerebbe. Ma solo a porte molto chiuse.

LA SCENEGGIATA con il M5S ormai è quasi una gag fissa. La premier dà spettacolo: «Il giorno in cui mi faccio spiegare da voi cosa devo pensare giuro che mi dimetto. La leggerezza con cui affrontate le crisi internazionali è pari solo a quella con cui affrontate i conti dello Stato. Ci vuole la maschera di ferro per accusare noi di gettare soldi dopo aver fatto il Superbonus». Conte si prenderà una rivincita qualche ora dopo con un rumoroso j’accuse a tutto campo ma concentrato soprattutto sul Medio Oriente: «Avete giustamente denunciato l’attacco contro Unifil ma dove eravate quando venivano massacrate 40mila persone a Gaza? Se quelli russi sono crimini di guerra quelli israeliani cosa sono? Fino a quando l’Italia sarà complice delle scelte criminali di Netanyahu?».

Tutti i leader dell’opposizione rinfacciano al governo il non aver interrotto la fornitura di armi a Israele e la reclamano in coro. La premier, che annuncia un’imminente visita in Libano, usa parole molto dure sugli attacchi contro Unifil ma sulle armi punta i piedi: «Abbiamo bloccato tutte le licenze su nuovi contratti. Su quelli vecchi valutiamo caso per caso e se c’è il rischio che si tratti di armi che possono essere usate in guerra blocchiamo le licenze. La nostra posizione è molto più restrittiva di quella di tutti gli altri, Macron incluso». La distanza tra i due poli va molto oltre la questione delle armi: la destra e i centristi bollano gli attacchi a Unifil e, con toni meno infiammati, i massacri però mostrano anche una comprensione e una evidente simpatia per le ragioni di Israele.

IN REALTÀ L’AFFONDO più inedito della premier è stato ieri sul fronte che, dopo l’immigrazione, gonfia più di ogni altro le vele della destra, il Green Deal: «L’approccio ideologico ha creato effetti disastrosi. Le decarbonizzazione a prezzo della deindustrializzazione è un suicidio. Non si può puntare come alternativa solo sulle auto elettriche». L’annuncio più puntuale Giorgia Meloni lo lascia cadere in un inciso. Risponde all’accusa di non osare abbastanza con le banche e con il contributo sugli extraprofitti: «Aspettate la legge di bilancio. Potreste scoprire che abbiamo più coraggio di quanto ne abbia avuto la sinistra». Basta e avanza per rovinare la serata a Tajani, in attesa del cdm notturno dove si verificherà quanto sul serio vanno prese le parole della premier.

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