Al cospetto del presidente dell’Ucraina il moderato presidente della Repubblica ex democristiano e la fiammeggiante premier ex missina parlano esattamente la stessa lingua. Nell’Europa dell’ovest non c’è Paese schierato su posizioni più estreme dell’Italia. Per rintracciare toni simili bisogna guardare ai Paesi baltici e soprattutto alla Polonia. Del resto non è un mistero che l’obiettivo dell’inquilina di palazzo Chigi sia proprio fare dell’Italia la Polonia dell’Ovest.

Sia il capo dello Stato che quello del governo invocano la pace, ma entrambi chiariscono che c’è una sola vera pace. Quella «giusta e che ripristini giustizia e diritto internazionale» la definisce il presidente. Quella possibile solo quando «la Russia cesserà le ostilità», nelle parole della premier che poi specifica cosa s’intenda con un appello a Mosca perché «fermi l’aggressione e ritiri le truppe».

Tra pace e vittoria dell’Ucraina la differenza è questione di sfumature difficilmente percettibili. Per entrambi gli ospiti italiani l’Ucraina non è solo un Paese aggredito che difende la propria indipendenza ma anche l’avamposto d’Europa che combatte per tutti. «Sono in gioco la libertà dei popoli e l’ordine internazionale», afferma il presidente. «L’Ucraina allontana la guerra dal resto dell’Europa. Quello che sta facendo lo sta facendo anche per noi. È un avamposto della sicurezza nel Continente europeo», rincara la premier.

Il colloquio sul Colle è formale. Il presidente è attorniato dall’intero staff del Quirinale e dal ministro degli Esteri Tajani. «È un onore accoglierla. L’Italia è pienamente al vostro fianco», esordisce. Poi prende posizione sulle due voci che stanno davvero a cuore all’ucraino: il ritorno dei bambini ucraini rapiti, «pratica straziante e ignobile», e l’appoggio strenuo per l’ingresso di Kiev nella Ue. «La decisione di avviare il processo di integrazione dell’Ucraina nell’Unione è storica. L’Italia vi aiuterà a raggiungere i parametri», promette il primo cittadino.

L’incontro con Meloni ha qualcosa di volutamente meno formale. I baci e gli abbracci. Il tono che, sottolinea l’italiana, è quello di due amici oltre che di due capi di governo. L’abbigliamento simile: la felpa militare nera di Zelensky si riflette nella tenuta dello stesso colore, forse un po’ troppo “giovane italiana”, di Meloni.

Discutono in due, a porte chiuse e in inglese, per 70 minuti. Fanno coppia ben intonata in una rapida conferenza stampa. Poi tornano alla formalità per un pranzo a cui partecipano anche i ministri italiani degli Esteri e della Difesa, il sottosegretario Fazzolari, l’ambasciatore italiano a Kiev. Non Salvini, assenza diplomatica quanto altre mai anche se il leghista smentisce: «La mia presenza non è mai stata prevista». Appunto.

I toni della premier, di fronte alla stampa come in privato, sono quelli di chi guida un Paese attestato sul confine labile della cobelligeranza. Ma non è solo questo che Zelensky è venuto a chiedere e non è neppure il rifornimento di armi, anche se la presidente assicura comunque che proseguirà «perché l’Ucraina possa arrivare ai negoziati in posizione solida».

Il cuore della missione, stavolta, sembra politico, la garanzia di un sostegno pieno dell’Italia all’ingresso dell’Ucraina nella Ue. Di fatto, anche se nessuno lo dice, valutando con occhio di riguardo il rispetto dei parametri. Dopo Mattarella anche Meloni assicura che l’Italia si spenderà senza parsimonia per «facilitare la progressiva integrazione di Kiev».

Esalta le riforme che Zelensky sta varando per adeguarsi ai parametri. Sottolinea che quelle riforme procedono in un Paese che sta combattendo, e vorrà pur dire qualcosa. Ma non c’è solo l’Europa e l’Italia s’impegna a sostenere «l’intensificazione del partenariato con la Nato», che del resto dovrebbe essere al centro del summit di luglio a Vilnius.

La sincerità della posizione della leader tricolore non è discutibile. Ciò non significa che dal posizionamento radicale non si aspetti vantaggi materiali oltre che morali. «Scommettiamo sulla vittoria dell’Ucraina» dice senza peli sulla lingua e con lo sguardo rivolto al lucroso affare della ricostruzione. Sullo schieramento atlantista come porta verso una piena legittimazione in Europa ha già scommesso e vinto.

Sul piano dell’immagine interna quello di ieri è stato un successo pieno. Ma in prospettiva c’è molto di più: c’è l’Europa delle Nazioni, molto diversa da quella di Altiero Spinelli, che la guerra ha reso obiettivo già del tutto a portata di mano.