Politica

La premier «ascolta» e «rispetta», ma al presidente preferisce il tycoon

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, incontra a Palazzo Chigi Elon Musk foto Filippo Attili/AnsaLa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, incontra a Palazzo Chigi Elon Musk foto Filippo Attili/Ansa

Giornata nera a palazzo Chigi Reazioni affidate alle solite «fonti» e ai fedelissimi, che si arrampicano sugli specchi

Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 14 novembre 2024

Giornata nera anzi nerissima a palazzo Chigi. Come se non bastassero le pessime notizie che arrivano da Bruxelles, dove la situazione di Fitto non si sblocca, i socialisti s’impuntano e il Pd non offre alla premier l’aiuto sperato, arriva anche Sergio Mattarella con una nota ufficiale che manda letteralmente fuori dai gangheri la premier. A irritarla non è tanto la posizione del presidente ma la massima solennità ha voluto dare alle sue parole. La risposta a una domanda ci sarebbe stata, sibilano a palazzo Chigi. Ma una nota ufficiale «in risposta a un privato cittadino» no, e oltretutto con quel richiamo alla sovranità nazionale che suona come una frustata a chi la tanto sbandierata sovranità se la è proprio dimenticata.

La prima reazione dal quartier generale del governo rivela in pieno la rabbia che imperversa in quelle stanze. Parlano le classiche fonti: «Ascoltiamo sempre con grande rispetto le parole del presidente della Repubblica». Ascoltare non è condividere e quel che Giorgia non vuol dire è appunto che condivide la barricata eretta dal capo dello Stato in difesa della sovranità nazionale. Quanto la premier sia inviperita, peraltro lo si evince anche dal post che dedica al caso Fitto: «Signore e signori, ecco a voi la posizione dei socialisti europei, la cui delegazione più numerosa è il Pd: a Fitto va tolta la vicepresidenza. L’Italia non la merita. Questi sono i vostri rappresentanti di sinistra». Cianuro allo stato puro.

Il silenzio sull’intemerata di Musk era stato sin dall’inzio l’ordine di scuderia per il governo, dalla premier in giù, e l’avevano rispettato tutti, tranne Salvini che si sa essere intemperante per natura e per parte in commedia. Giorgetti, uno che la disciplina di partito la prende sul serio, si arrampica letteralmente sugli specchi pur di restare imbavagliato: «Le parole di Musk saranno un problema se e quando sarà esponente di un governo».

Il mutismo si spiega facilmente. Dare ragione apertamente a Musk significa esporsi all’accusa di accettare una sorta di commissariamento da parte dei nuovi signori di Washington. Criticare le sue parole, nonostante in realtà le si condivida tutte, può voler dire perdersi il politico la cui amicizia è oggi la miglior carta di cui Meloni disponga sul palcoscenico internazionale e l’imprenditore che dovrebbe sbarcare in Italia, e di qui in Europa, con gran vantaggio di un Paese che sul fronte dell’innovazione tecnologica è fermo al Caro amico. A riprova di quanto la premier sia decisa a blindare quel rapporto, qualsiasi cosa Elon dica o faccia nel pieno della tempesta i due si sentono al telefono. La premier chiede all’amico americano di stemperare la polemica. Lui lo fa esprimendo rispetto per il presidente italiano ma senza rimangiarsi una sola parola.

Dopo l’uscita plateale e proprio per questo tanto urticante del presidente continuare a fare finta di niente per Meloni è impossibile. La premier muove i Fratelli più vicini a lei nel governo, cioè il sottosegretario Fazzolari, e nel partito, Donzelli. Se parlano loro è quasi come se parlasse lei ma quel quasi fa la differenza. Il sottosegretario è abile. Dice il meno possibile e la gira in modo che suoni una staffilata contro la sinistra. L’intervento del presidente è «sempre utile». FdI «ha sempre respinto ogni ingerenza straniera dei governi, delle ong o dei grandi media». Certo «stupisce il sovranismo à la carte di una sinistra che ha cavalcato posizioni anti-italiane e anche oggi trama per far perdere la vicepresidenza della Commissione all’Italia».

Sul fronte del governo anche Tajani a sera si è deciso a rompere il silenzio per dichiararsi d’accord con con Mattarella sulla difesa della sovranità senza che questo gli impedisca di dare ragione, nel merito, a Musk.
Donzelli, che non fa parte del governo e dunque si può permettere qualche libertà in più, è meno abbottonato ma anche lui in fondo felpato: «Condivido anche le virgole di Mattarella. Non so se Musk avrà un ruolo nel governo Usa ma noi non abbiamo gradito quando ministri di altre nazioni attaccavano il governo. All’estero possono commentare ma abbiamo la nostra indipendenza e autonomia. Non sarà una persona dall’altra parte del mondo a decidere della carriera dei giudici in Italia».

Certo, non sarà Musk a dirigere la politica italiana ma la sua non sarà neppure una presenza discreta e poco vistosa. Per Meloni è allo stesso tempo un appoggio prezioso e un grosso guaio.

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