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La post democrazia di diritto

La post democrazia di dirittoRenzi e Zagrebelsky nel dibattito con Enrico Mentano su La7 per il referendum costituzionale – LaPresse

Riforme Dalla post-democrazia di fatto alla post-democrazia di diritto

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 2 ottobre 2016

Sino ad oggi il dibattito sul referendum si è mosso tra questi due poli: le precisazioni dei costituzionalisti contrapposte e l’odio per la casta e la politica della gente.

L’esempio più chiaro di questa contrapposizione è stato il dibattito di venerdì scorso tra Renzi e Zagrebesky. Si è trattato del classico dialogo tra sordi o meglio, tra due persone che parlano lingue diverse.

Zagrebesky faceva appello alla teoria, in particolare ai principi giuridici che una costituzione deve rispettare per essere accettabile.

Renzi conduceva il dibattito in nome del «fare». Ed usava la tecnica all’americana di abbattere, a qualsiasi costo, la credibilità dell’avversario con attacchi, neanche tanto velati a gufi, parrucconi, professori, che paralizzano il fare, trincerandosi nelle loro torri d’avorio da «pensionati d’oro».

Mentre Zagrebesky cercava di spiegare le ragioni del no, Renzi voleva solo demolire l’immagine del suo avversario agli occhi della gente comune.

Ma a parte questa impostazione all’americana, per cui sicuramente si era allenato con coach e spin doctor, anche il dialogo appariva privo di senso. Perché quando Zagrebesky illustrava un concetto, Renzi lo traduceva velocemente in un problema concreto a cui le sue leggi avrebbero da tempo trovato soluzione.

Come se di fronte a Socrate che parla del concetto di cavallinità, Renzi rispondesse: abbiamo disciplinato l’uso del cavallo su strada con numerose normative che riguardano l’uso del basto e la ferratura.

Probabilmente pur essendo in televisione il dibattito era seguito da un pubblico «alto» che ha seguito il discorso del professore Zagrebesky. Ma il grosso della campagna si giocherà in contesti più popolari ed oggi l’astrazione, la concettualizzazione, sembrano provenire da un passato «dipinto col pelo di cammello».

Secondo me il discorso dovrebbe invece partire da un punto di vista globale. In che modo una revisione della Costituzione, può avere conseguenze non solo sulla politica, ma anche sull’economia e perché banche e multinazionali sponsorizzano il SI con tanta aggressività da minacciare tutte le possibili disgrazie nel caso di vincita del NO?

E qui il discorso si fa difficile.

Il motivo è che le analisi globali vengono giudicate ideologiche quando non cospirazioniste. E si dice che bisogna giudicare le cose in modo semplice, a partire dal contenuto concreto della legge. Che prevede comunque meno indennità da pagare e rappresenta quindi un risparmio.

Sono figlio di una generazione che ha appreso a dubitare di ogni evidenza.

Con il crollo del muro di Berlino è venuto meno anche il concetto di lotta di classe. Se non esistono socialmente interessi in contrasto, perché dovrei diffidare?

Intanto la forbice sociale si è così divaricata da creare la crisi permanente dei consumi. Oggi ci insegnano che l’arricchimento di pochi genera benessere e lavoro per tutti. Peccato che questa redistribuzione dei redditi sul territorio tardi a realizzarsi. In realtà nella crisi proletariato e classe media si sono impoveriti, sino a cadere in miseria, ma i ricchi sono diventati infinitamente più ricchi di quanto non lo fossero prima della crisi stessa.

Io continuo a dubitare. Ci hanno convinto che la lotta di classe è pura ideologia per praticarla contro di noi e vincerla senza che ce ne rendessimo conto.

«La lotta di classe esiste e l’abbiamo vinta noi», ha dichiarato Buffet. Oggi le tutele sociali devono essere espulse dalla costituzione per rendere le masse prive di potere contrattuale ed assoggettabili.

L’attuale disegno di riforma costituzionale a firma Boschi, è stato steso sotto le direttive della banca J.P. Morgan, che ha definito le costituzioni dei paesi del Sud Europa «comuniste».

Se ormai il comunismo non c’è più, per le élites finanziarie anche il semplice testo costituzionale pecca di estremismo. Perché, a differenza che negli Stati Uniti, le nostre costituzioni partono da un concetto di democrazia che non esalta l’individuo e la sua lotta contro tutti, ma la società e la cooperazione in quanto connaturate alla natura umana. «L’uomo è un animale politico».

Non esiste democrazia senza bene comune. Una democrazia di individui in lotta per il bene personale è un ossimoro. Questo è tanto più valido in un’epoca in cui le élites sono multinazionali e depredano ogni territorio a cui hanno libero accesso.

Vorrei ricordare il precedente del referendum di dieci anni fa.

Allora fu respinta la riforma perché, in virtù dei suoi molteplici conflitti di interessi, gli italiani ritennero pericoloso dare tutto il potere a Berlusconi. Gli interessi di Berlusconi erano comunque dentro i confini del Paese. Il suo ulteriore arricchimento poteva aver ricadute di occupazione e fiscali qui. Anche Mussolini, a suo tempo, con la legge Acerbo, gemella dell’Italicum, concentrava il potere nelle sue mani per promuovere l’autarchia.

Oggi banche e multinazionali non hanno residenza se non in paradisi fiscali.Esse impongono trattati come il TTIP che avranno la conseguenza di avvelenarci senza neppure un ritorno in chiave di lavoro o di ricchezza. Trattati come questo vanno sottoscritti in fretta, prima che l’opinione pubblica si opponga e prima che si formi un’opposizione parlamentare.

L’eutanasia dell’opposizione perseguita da Renzi in vari modi ed oggi con la riforma elettorale, ha questo scopo. «Lasciatemi lavorare» significa: lasciatemi decidere senza controllo, affidando il paese a chi ritengo opportuno.

Questo sistema di governo in cui apparentemente il potere è affidato al popolo, ma il popolo è di fatto esautorato di ogni potere si chiama post-democrazia.

Ecco, con la riforma costituzionale, siamo chiamati a ratificare una post-democrazia di fatto per trasformarla in una post-democrazia di diritto.

 

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