Al liceo classico Albertelli, a due passi dalla stazione Termini di Roma, c’è fermento. Dopo una campagna durata più di un mese e mezzo, il 20 febbraio il consiglio d’istituto ha approvato il congedo mestruale. «C’era una sorta di sfida con il Croce-Aleramo», scherzava pochi giorni fa Luca Pirandello, uno dei rappresentanti d’istituto. La sfida l’ha “vinta” l’Albertelli: è la prima scuola del Lazio ad approvare una misura grazie alla quale, presentando un certificato medico che attesti patologie legate al ciclo, si può usufruire di due giorni di assenze al mese. Assenze giustificate: escluse dalle ore di frequenza, non influiscono sull’ammissione agli scrutini.

Flavia Berliri, dell’associazione Rete degli Studenti medi, spiega che l’idea è partita da un liceo di Ravenna: «Da quando è stato approvato lì, stiamo lavorando per portare il congedo in tutte le scuole del Lazio».

A FINE DICEMBRE 2022 il liceo artistico Nervi-Severini è stato il primo in Italia a introdurre questa misura, grazie soprattutto all’iniziativa di Chiara Pirazzini, una studentessa che ha convinto il dirigente scolastico e l’intero istituto ad appoggiare la sua richiesta. Da allora la mobilitazione si è estesa prima a Roma e nel Lazio e poi nel resto del Paese. Al ritorno dalle vacanze di Natale gli studenti e le studentesse hanno organizzato sit-in e proteste davanti a una ventina di scuole della capitale per lanciare la campagna per l’approvazione del congedo e sensibilizzare sul tema.

«Le proteste di gennaio – spiega Michele Sicca della Rete degli Studenti medi – erano un’attività simbolica per attirare l’attenzione, sia dei ragazzi che dei media, e mi sembra che abbia funzionato». Poi, il lavoro si è svolto soprattutto “dietro le quinte”: «Abbiamo scritto una formula comune che tutte le scuole possono adottare e presentare al consiglio d’istituto».

Il congedo è una misura concreta, ma è anche una porta d’accesso per scardinare il tabù delle mestruazioni, tema di cui non si parla mai volentieri. «È necessario combattere la stigmatizzazione delle mestruazioni – spiega Berliri – come previsto dalla legge regionale n.279 del 2022», che prevede un bonus annuale per il rimborso degli assorbenti. «Alcuni professori ci hanno detto che approvare il congedo è come ammettere la debolezza della donna. Ma non è questo il punto. La debolezza sta nel fatto di non poter parlare delle mestruazioni, invece sarebbe importante per l’autodeterminazione delle ragazze», ribadisce Tullia Nargiso, anche lei della Rete.

Non solo, secondo i promotori il congedo mestruale potrebbe diventare uno strumento per far conoscere meglio i disturbi e le patologie legate al ciclo.

PER LUDOVICA, studentessa al terzo anno del liceo Albertelli, «c’è bisogno di più informazione sul tema. Molti ragazzi non ne sanno nulla, ma anche le ragazze che non hanno particolari problemi spesso ignorano cosa può esserci dietro un ciclo doloroso. Il congedo crea più consapevolezza». È d’accordo anche il rappresentante dell’Albertelli, Luca Pirandello: «Non conoscevo tutte le problematiche legate al ciclo. È stato un ragazzo transgender della scuola a spiegarmi perché fosse importante e che non solo le ragazze sono interessate da questa misura. Sarebbe più corretto parlare di “persone con mestruazioni”».

L’attenzione alla parità di genere, anche attraverso il linguaggio, è una delle prerogative di questa generazione. Non solo congedo mestruale, ma anche tampon box, bagni senza genere, educazione sessuale e all’affettività, carriera alias (la possibilità per uno studente di usare il nome di elezione al posto di quello anagrafico). Sono tante le proposte della Rete per rendere la scuola un luogo più inclusivo e sicuro per tutte e tutti. Rispetto al passato si nota una maggiore sinergia tra ragazze e ragazzi, e la battaglia sul congedo mestruale ne è una dimostrazione.

Secondo Sicca infatti «non c’è nessuna differenza di slancio tra uomini e donne: c’è un grande appoggio anche tra chi non ha le mestruazioni». Per molti di loro l’approvazione del congedo è una battaglia sociale e culturale, un primo passo per scardinare la visione patriarcale della società.

Caterina Camilli, ostetrica dell’associazione Selene, sostiene infatti che il problema principale è la normalizzazione del dolore delle donne, l’idea radicata che alcune tappe della loro vita, dal ciclo ai rapporti sessuali fino al parto, debbano essere accompagnate dalla sofferenza. «Cerchiamo di trasmettere il messaggio che un dolore non è mai normale e che va sempre indagato, anziché sminuito». Camilli è d’accordo con la proposta del congedo, anche per le lavoratrici, ma per lei il punto più importante è dare alle donne gli strumenti per conoscere il proprio corpo, facendo informazione e prevenzione. «Stare a casa senza capire perché significa che un ritardo diagnostico per endometriosi, per esempio, si quadruplica».

L’ENDOMETRIOSi è solo una delle problematiche di cui può soffrire una donna, ma le cause di un ciclo invalidante, spiega Camilli, possono essere tante, da uno squilibrio ormonale a una sindrome premestruale debilitante fino a problemi al pavimento pelvico. Ma se ne parla poco. Molte persone non le conoscono.

Non tutti sono d’accordo con la proposta del congedo mestruale. Una professoressa dell’Albertelli che vuole rimanere anonima pensa che sia un «ritorno indietro rispetto alle battaglie che abbiamo fatto in passato. Perché sottolineare che si sta a casa per colpa delle mestruazioni? Basta un certificato medico qualsiasi». Secondo Giovanna Grasso, insegnante precaria al liceo Morgagni di Roma, si tratta invece di una proposta valida, «anche per il mondo del lavoro». Posizione condivisa dagli studenti che si stanno battendo per l’approvazione del congedo: «Dobbiamo partire dalla scuola, ma per far sì che questo diventi un tema all’interno della società, dalle università ai posti di lavoro», spiega Tullia Nargiso.

SECONDO LORENZO, 16 anni, studente dell’Albertelli, la questione si fa però più complicata quando si parla del mondo del lavoro: «Se dovessi mettermi nei panni di un imprenditore non assumerei una lavoratrice sapendo che può ricorrere al congedo. Nei licei è un altro discorso». Per il suo compagno di scuola Leonardo, invece, è giusto concedere dei giorni di assenza a chi soffre durante il ciclo.

«È una questione molto soggettiva: la febbre è uguale per tutti, mentre nel caso del ciclo ogni ragazza può avere una situazione specifica e risentirne più o meno. Dovrebbe essere approvato anche per consentire un migliore apprendimento. È inutile che una ragazza vada a scuola quando sta male». Anche Elisa, diciassettenne che frequenta il liceo Caetani della capitale, pensa sia una misura importante, ma nel suo istituto «non si sta facendo nulla per approvarla». La sfida vinta dalle studentesse e dagli studenti del liceo Albertelli non è che un inizio, ripetono in molte, nelle scuole di Roma.

*Questo reportage è stato realizzato nell’ambito della Scuola di giornalismo della Fondazione Basso.